Latifa al Maktoum, la principessa ribelle in fuga dagli Emirati Arabi

di Redazione Blitz
Pubblicato il 15 Maggio 2018 - 06:27 OLTRE 6 MESI FA
Latifa al Maktoum

Latifa al Maktoum, la principessa ribelle in fuga dagli Emirati Arabi

ROMA – La saga di Latifa al Maktoum, misteriosa giovane principessa fuggita da Dubai solo per condurre una vita da donna libera, come da lei asserito in un video postato su Instagram, se vera è straziante. [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui, Ladyblitz – Apps on Google Play] “Questo potrebbe essere l’ultimo video”, aveva detto la 32enne in una clip diventata virale, in cui raccontava una vita di abusi e sofferenze, controllata dal padre “malvagio” prima di scappare da Dubai, dove lo sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum è l’attuale Primo ministro e vicepresidente degli Emirati Arabi Uniti nonché emiro di Dubai.

“A mio padre interessa solo la sua reputazione. Ucciderebbe le persone per proteggere la reputazione. Questo video potrebbe salvarmi la vita. Se stai guardando questo video non è un fatto positivo: sono morta o in una situazione molto brutta. ”

Ma secondo fonti a conoscenza della situazione e un ex agente dell’intelligence USA che ha studiato il caso, la storia di Latifa presenta delle incongruenze.

Attivisti che lavorano per conto di Latifa affermano che la principessa sarebbe fuggita da Dubai ma rimasta vittima di un agguato in mare da parte dei militari al servizio del padre e “costretta a sparire”, probabilmente tornata a Dubai sotto scorta armata. Hanno organizzato una campagna di comunicazione straordinariamente scaltra e convincente, apparentemente mirata a salvare Latifa.

Alcuni dei sostenitori di Latifa, tuttavia, nutrono profondo rancore nei confronti degli Emirati Arabi Uniti, dei quali Dubai è la più famosa, in una regione turbata dalle guerre di disinformazione. È stato insinuato che a pompare la storia sia stato il Qatar così da mettere in cattiva luce gli Emirati Arabi.

“Dubai è piena di agenti d’intelligence di tutto il mondo”, ha detto un ex agente della CIA che ora lavora presso una società di sicurezza privata specializzata nella gestione di casi di estorsione e rapimento. “È un luogo molto piccolo ed è altamente improbabile che questa giovane donna della famiglia reale sia riuscita a scappare senza che nessuno la notasse ed è ugualmente improbabile che nessuno l’abbia vista da quando è rientrata a Dubai. Lì, parlano tutti”.
Il 24 febbraio, la storia ufficiale sembra uscita da vecchio episodio di Charlie’s Angels: Latifa sarebbe sfuggita alle grinfie spietate del padre, Sheikh Mohammed bin Rashid al Maktoum, attraversando l’Oman con un’altra donna, un’amica bionda finlandese compagna di paracadutismo.

Un francese, istruttore di arti marziali le avrebbe traghettate con le moto d’acqua verso le acque internazionali, dove sarebbero state raggiunte da un ex abile agente segreto francese che le avrebbe fatte salire a bordo della barca Nostromo, registrata negli Stati Uniti, per salpare alla volta di Goa, in India. Una volta lì, Latifa avrebbe pianificato di volare negli Stati Uniti e chiedere asilo.

Cosa poteva andare storto? Tutto. Dopo otto giorni sul vasto Oceano Indiano, Latifa, l’amica finlandese, la spia francese e tre filippini membri dell’equipaggio, il 4 marzo in alto mare sarebbero stati assaliti in un “raid militare congiunto degli Emirati Arabi Uniti-India” da uomini mascherati, gas lacrimogeni, pozze di sangue, cinque navi da guerra con cannoni e missili, due aerei e un elicottero. Il raid sarebbe stato ordinato dal padre della principessa.

Latifa, una dei 30 figli del 68enne sceicco e una delle tre di nome Latifa, è stata vista per l’ultima volta mentre veniva trascinata giù dalla barca in un gommone. La richiesta agli EAU di dire la verità su dove si trovi Latifa, è arrivata da Human Rights Watch, sollecitata da Detained a Dubai, un gruppo anti-Emirati Arabi Uniti con sede a Londra.

Tra i partner di Detained a Dubai c’è un americano convertito all’attivismo islamico che è stato in galera per omicidio a Dubai e un avvocato ed ex banchiere che ha dichiarato di essere stato imprigionato e torturato a Dubai per 22 mesi con false accuse di frode e appropriazione indebita.

E’ difficile inventare cose simili. O è possibile? Latifa, secondo alcuni è vittima di un padre violento e sadico che spedito i militari a riprenderla, mentre per altri è una figlia irrequieta e privilegiata che ha organizzato la fuga per estorcere 3 milioni di dollari al padre, ma pianificata in modo sbagliato.

Helene Jaubert, l’ex-moglie americana 62enne di Herve Jaubert (il quale si definisce un ex “agente segreto” e “spia” dell’intelligence francese), ha detto che l’ex marito ha organizzato il piano con Latifa e il capo di Detained a Dubai, Radha Stirling.

Helene Jaubert, che è stata sposata con Herve per 18 anni e ha sostenuto di essere ancora in contatto con lui, ha detto che Stirling e Jaubert si conoscono da anni. La principessa Latifa per cinque anni era stata in contatto con Jaubert e successivamente con Stirling riflettendo su un piano di fuga e di estorsione.

“Il piano era che Herve l’aiutasse a fuggire e una volta fuori dall’emirato la figlia avrebbe detto al padre che voleva 3 milioni di dollari o avrebbe rivelato tutto ai media”, ha affermato la Jaubert.  “Herve era coinvolto solo per i soldi. Era una truffa. Uno schema corrotto andato in tilt e hanno ingaggiato un tizio francese corrotto per cercare di riuscire. Latifa ha avuto un assaggio della vita occidentale e voleva di più”.

Stirling ha detto che quando quattro giorni prima del raid ha ricevuto l’e-mail da Latifa dalla barca, all’inizio ha pensato che fosse una burla e non aveva risposto. “Non l’avevo mai sentita prima”.

Stirling non riusciva a spiegarsi perché se la principessa sapeva di lui e della sua organizzazione, non l’avesse contattato prima.  Latifa, poi avrebbe telefonato mentre era a bordo della barca, durante il raid, dicendo che temeva per la sua vita e “sentiva dei colpi di pistola”.

L’uomo sostiene inoltre di avere degli screenshot della chiamata, ma a quanto pare né Latifa né l’amica finlandese hanno scattato come prova dei selfie sulla barca o durante l’imboscata. Latifa ha effettuato la chiamata tramite WhatsApp, anche se normalmente è necessario un telefono satellitare per chiamare dalla presunta località nell’Oceano Indiano, dove si sarebbero trovate.

Il caso di Latifa, per la prima volta è stato pubblicato sul Daily Mail il 9 marzo, con ampie informazioni sulla principessa, fornite da Detained a Dubai. Il giornalista ha anche menzionato lo strano caso della sorella maggiore che avrebbe fatto i documenti nel Regno Unito nel 2001, mentre tentava di scappare dalla casa del padre nel Surrey, ma era stata catturata e portata a Dubai. Di quel caso, non è mai emersa nessuna foto o prova.

Helene Jaubert ha vissuto con Herve a Dubai per parte del loro matrimonio quando si era trasferito per realizzare piccoli sottomarini per il governo. Ma si è scontrato con le autorità che lo hanno accusato di appropriazione indebita e lo hanno messo agli arresti domiciliari. Jaubert se l’era svignata da Dubai, aveva detto di essere fuggito travestendosi da donna, indossando un burka e nuotando verso una barca che lo aveva salvato e portato in India.

Nel 2010 ha scritto un libro “Escape from Dubai” in cui c’era una foto mentre indossava un burka.
Helene Jaubert ha confermato che l’ex marito è scappato da Dubai ma aggiunto che la nuotata col burka era falsa.
“Ho scattato quelle foto col burka in Florida. Voleva solo spettacolarizzare la storia. Radha Stirling ha letto il libro e si è rivolto a lui. Ha lavorato per l’intelligence francese ma mai come spia. Era un ingegnere che costruiva apparecchi”.

In passato, Jaubert ha pubblicato dei video su YouTube che lo vedevano come un agente segreto alla James Bond, ambientati su temi come Mission Impossible o The Prisoner e usava ripetutamente la frase “Fuga da Dubai”.
A complicare le cose, la campagna di #FreeLatifa, come viene chiamata su tutti i social media, include un elaborato sito web, Escape from Dubai, che fornisce scadenze estremamente dettagliate, “prove” della presunta fuga e la cattura di Latifa.

Detained a Dubai, si autodefinisce “l’autorità internazionale sulla legge degli Emirati Arabi Uniti”. La Jaubert sostiene che Stirling ha un “profondo rancore” nei confronti degli EAU, noti per mascherare le violazioni dei diritti umani dietro la facciata scintillante e moderna, i grandi eventi sportivi e alleanze con, tra gli altri, la regina Elisabetta, che condivide la passione dello sceicco per i cavalli.

Uno dei partner di Stirling di Detained a Dubai è Shahid Bolsen, 46 anni, un americano convertito all’Islam, il cui nome è Shannon Morris ed è di Boulder, in Colorado. Nel 2015, il New York Times aveva descritto Bolsen come un “provocatore Internet” e “l’ultimo di una serie di occidentali, compresi i cittadini americani Anwar al-Awlaki e Samir Khan di Al Qaeda nella penisola arabica, diventati propagandisti di varie forme della violenza islamista”.

Bolsen sul suo blog ha scritto di Latifa, postato anche dei tweet ma solo come pretesto per accusare il padre di essere “profondamente instabile e inaffidabile”. Negli Emirati Arabi, Bolsen ha scontato sette anni di carcere per omicidio colposo, uno strano caso in cui avrebbe ucciso con il cloroformio un cittadino tedesco e delle accuse di sesso in vendita.

La storia di Latifa è sostenuta dall’amica finlandese Tiina Jauhiainen, di 41 anni, che ha partecipato a una conferenza stampa organizzata da Detained a Dubai, a Londra il 12 aprile, e in cui era presente anche Jaubert.

Jauhiainen ha descritto Latifa come una vegana gentile amante degli animali che ha respinto le ricchezze della famiglia. In tandem hanno fatto circa 2000 lanci con il paracadute. Ha descritto la cattura a bordo della barca come una prova terrificante, durante la quale una delle forze speciali ha minacciato di “spararle alla testa”. Ha detto che Latifa, prima di essere catturata, ha cercato di proteggerla.

“Latifa è la persona più gentile che conosca”, ha affermato Jauhiainen. “Quando mi ha chiesto di aiutarla a fuggire, non ho esitato. Lei è parte della mia famiglia. È la ragione per cui negli ultimi sette anni sono stata a Dubai.”

Jauhiainen, Jaubert e i tre filippini membri dell’equipaggio sono stati restituiti agli Emirati Arabi Uniti, secondo Detained a Dubai. Tutti interrogati e minacciati per più di una settimana, gli uomini picchiati e torturati, sono stati rilasciati il 29 marzo con l’avvertenza che se avessero parlato pubblicamente, sarebbero stati rintracciati e nuovamente sequestrati.