Alcuni documenti interni di uno dei più grandi cartelli messicani del traffico di droga (quello di Sinaloa) aiutano a spiegare perché il suo leader, Joaquín Guzmán, sia ancora a piede libero, dopo essere evaso da un carcere di massima sicurezza, oltre dieci anni fa, nascondendosi in un carrello della lavanderia.
Secondo un articolo di Marc Lacey, pubblicato sull’International Herald Tribune, alcune delle persone che dovrebbero dargli la caccia sarebbero in realtà a libro paga di Guzmán. I documenti, recuperati dalle autorità messicane, erano in possesso di un uomo sospettato di essere socio di don Joaquín e svelano le elaborate operazioni di controspionaggio messe in atto dal criminale, abilissimo nel “comprare” agenti di polizia dei ranghi più alti e addirittura soldati dell’esercito con i proventi dei suoi traffici illeciti.
I documenti, trafugati e pubblicati dal giornale messicano Reforma, sarebbero appartenuti, secondo le autorità, a Roberto Beltrán Burgos, sospettato di essere uno dei “colonnelli” di Guzmán e includono anche carte governative riservate. Mostrano come il malvivente, conosciuto con il soprannome di El Chapo o Shorty, sia in grado di conoscere in anticipo le mosse di chi dovrebbe dargli la caccia, abbia i numeri di telefono e gli indirizzi e-mail di alcuni di loro e li ricambi in denaro.
Guzmán trasporterebbe cocaina, marijuana e altre droghe negli Stati Uniti soprattutto via terra, ma secondo alcuni atti giudiziari pubblicati da Reforma sfrutterebbe anche le coste dell’Atlantico e del Pacifico.
Nonostante l’aggressiva offensiva contro il traffico di droga messa in atto dal presidente Felipe Calderón, il cartello di Sinaloa continua a dominare il mercato, senza che la sua leadership interna venga scalfita. Ciò ha portato alcuni critici a sostenere che il governo abbia chiuso un occhio sulle operazioni del trafficante. Un’accusa che Calderón smentisce con forza, ricordando che alcuni degli uomini di Guzmán sono stati uccisi o catturati, come Vicente Zambada, il figlio di uno dei leader dell’organizzazione, recentemente estradato negli Stati Uniti.
Nonostante ciò, le “perdite” subite dal cartello di Sinaloa a causa dei 10mila arresti effettuati negli ultimi tre anni in Messico, sarebbero estremamente inferiori a quelle delle altre organizzazioni criminali.