C’è un prete genocida in Vaticano?

Padre Jean-Baptiste Rutihunza è accusato di aver redatto e aggiornato liste di proscrizione di Tutsi per il massacro operato nel 1994 dagli estremisti Hutu. Ora vive a Roma, protetto dal Vaticano e rifiuta l’estradizione chiesta dal governo africano.

ROMA – Jean-Baptiste Rutihunza, 63 anni, ruandese di etnia hutu, è un sacerdote cattolico accusato di genocidio e crimini contro l’umanità, che vive a Roma protetto dal Vaticano. Padre Rutihunza è accusato di aver redatto e aggiornato liste di proscrizione di Tutsi per i paramilitari estremisti hutu nel 1994, l’anno della grande mattanza. Nei suoi confronti è stato spiccato un mandato di cattura internazionale, ma al procuratore generale che doveva decidere sulla sua estradizione si è dichiarato disponibile all’arresto in Italia per reati politici ma di non voler rispondere alla giustizia africana.

La storia comincia appunto nel 1994 e porta al cuore del genocidio dei Tutsi. All’epoca Rutihunza era rappresentante legale del Centro Fratelli della Carità a Gatara, nel distretto di Nyanza, regione a sud del Sudan. La struttura dava ospitalità a minori disabili, affetti da patologie motorie.

Secondo decine di testimonianze raccolte, quando i miliziani scorrazzavano per il paese trucidando a colpi di machete, spranche chiodate e armi da fuoco i civili di etnia Tutsi, Jean-Baptiste Rutihunza, già al corrente dell’identità dei minori ospiti nella sua missione, redasse liste di proscrizione per consentire ai carnefici di individuare più rapidamente gli obiettivi. Quell’estate 4.338 di quei bambini furono trucidati e seppelliti in una fossa comune.

Ma il genocidio prosegue, con atroce rapidità e inaudita violenza. Documenti ufficiali, facenti capo all’indagine promossa dall’Onu, parlano di “mille Tutsi uccisi in venti minuti”. Un massacro perpetrato a ritmo serrato, lo stesso col quale, stando alle denunce dei sopravvissuti, padre Rutihunza avrebbe aggiornato le sue liste.

La giustizia si attiva con la liberazione compiuta dal Fronte patriottico ruandese. Dopo l’intervento dei militari, il “segretario” dei carnefici,come spesso veniva additato, fugge in Congo. Intenzionato a riprendere la sua missione cattolica, fonda un convento dei Fratelli della Carità, una potente confraternita della chiesa di Roma. Fallito il progetto con la distruzione dei campi profughi congolesi, ripara in Tanzania. Era il 1996, tempo un anno e la sua permanenza in Tanzania non può proseguire oltre. A quel punto Rutihunza non ha scelta e si trasferisce a Roma dove si rifugia in una struttura della confraternita che lo accoglie al riparo delle mura vaticane non senza mal di pancia interni.

Ora la giustizia italiana è in attesa di compiere il proprio corso: prima il pronunciamento della Corte d’Appello di Roma e poi, in caso di ricorso, della Cassazione. Se i tribunali italiani accoglieranno le richieste del governo africano, l’ultima parola spetterà al presidente del Consiglio. Il prete si dichiara innocente, “vittima di una vendetta politica”.

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