Gli Usa: “E’ lui e lo volevamo morto”. Bin Laden, un cadavere senza tomba

Festa a New York per la morte di Bin Laden (foto LaPresse)

ROMA – E’ tutto vero. Osama Bin Laden è morto. Ucciso da un colpo alla fronte nella sua roccaforte ad Abbotabad, città pakistana una sessantina di chilometri a nord della capitale Islamabad. La conferma arriva dal dna del terrorista che corrisponderebbe, secondo la tv americana Abc, a quello di una sua sorella morta di cancro al cervello a Boston. Missione compiuta, quindi. Gli States lo hanno candidamente ammesso, il presidente Barack Obama lo ha annunciato festante. Gli “uomini rana” non erano lì per prenderlo vivo, meglio “dead” che “alive”. Così la preoccupazione sarà “solo” la sepoltura e gli Stati Uniti si risparmiano la grana mediatica di un processo sovraesposto e rumoroso.

Bin Laden vivo sarebbe stato un impaccio, Bin Laden morto è negli Usa una grande occasione di festa in tempo di crisi e vacche magre. Sempre che si risolva il problema del corpo. Acclarato che la foto del presunto cadavere è un tarocco rimane il problema del cadavere.  L’ultima versione, che secondo la Cnn troverebbe anche conferme ufficiale in quel di Washington, racconta di un Bin Laden sepolto in mare. Un problema in meno: non ci sarà una tomba a fare da meta di pellegrinaggio per fanatici e terroristi.  Peccato che non sia così facile. La sepoltura in mare, infatti, è consentita dalla religione islamica solo se si trova su una barca lontano dalla costa e non ci sono possibilità di arrivare sulla terra ferma. Il rischio è evidente e gli Usa probabilmente lo sapevano visto che prima della sepoltura marina avevano chiesto “ospitalità” per il morto scomodo in Arabia Saudita e Pakistan. Offerta respinta.

Quanto alla fine di Bin Laden, una fine attesa da dieci anni se si parte dalle torri gemelle,da quindici se ci si attiene ai ricercati Cia,  tutto si è consumato in quindici minuti. Azione semplice, efficace e a colpo sicuro. Forse un po’ lontana, nell’immaginario del film di guerra americano, da come si poteva pensare l’uccisione del pericolo pubblico numero uno del pianeta. Sono bastati 4 elicotteri, 14 uomini e un rapido conflitto a fuoco. Poco spettacolo, tanta sostanza. Anche perché il grosso del lavoro è stato fatto prima: dalla raccolta delle informazioni fino alla preparazione del blitz, ideato nei minimi dettagli e poi provato e riprovato, nel tentativo di uccidere Bin Laden senza trascinarsi dietro le vite dei civili.

Spettacolare forse no, ma il film della “terminazione” del terrorista ha tutti i crismi della modernità, con Twitter protagonista, il bunker extra lusso del cattivo, il manipolo di eroi super addestrati e il presidente che decide nella stanza dei bottoni. La pellicola si apre con un testimone ignaro, un blogger pakistano che sulla rete si chiama Really Virtual e nella vita Sohaib Athar e fa l’ingegnere. Sono da poco passate le dodici italiane del primo maggio quando Athar su cinguetta su Twitter: “C’è un elicottero qua sopra, strano non succede quasi mai”. Si preoccupa il blogger, spera che non sia l’inizio di qualcosa che “finisce male”. Finirà benissimo per l’occidente, malissimo per al Qaeda, ma Athar non può saperlo.

Quell’elicottero è uno dei quattro che sono partiti con la licenza di uccidere. Qui, nel film, c’è il primo flahback. Da Abbotabad si arriva nella casa Bianca e c’è Barack Obama che dà l’ordine di partire. Non è improvviso, nella storia della fredda vendetta contro Bin Laden, nulla è lasciato al caso. Gli Usa sanno che  Bin Laden non è in una grotta “al freddo e al gelo” ma si nasconde in un rifugio  più confortevole, bunker extralusso. Una roba, secondo le prime stime, da un miliardo di dollari. Non un dettaglio per uno che, vuole la leggenda, ha insegnato al figlio a non bere acqua fredda per abituarlo alla privazione permanente dei ricercati. Gli agenti americani hanno individuato la traccia giusta seguendo un corriere. E mentre nel mondo Bin Laden appare meno, qualcuno si chiede se sia ancora vivo e l’incubo diventa un malessere di sottofondo, la Cia segue il filo. Obama è informato di ogni passo ma non né fa parola, né in pubblico né tantomeno col Pakistan. Non fidarsi è meglio anche perché anni addietro Bin Laden è già sfuggito di un filo alla cattura (terminazione).

Altro flashback: si va a San Diego, California. C’è una base militare di quelle speciali e là si addestra un gruppo di 14 Navy Seals. La parola chiave è la seconda. Navy vuol dire che stanno nella marina. Seals, invece, non è il plurale di foca: indica sea, air e land (mare, aria e terra). Il “manipolo guerriero” deve sapersi arrangiare su tutti e tre i territori. I quattordici si addestrano. Forse neppure loro sanno per cosa, preparano una missione top secret in Pakistan.

Salto in avanti: alla fine arriva l’ordine di partire e i 14 si ritrovano in Pakistan, su 4 elicotteri. Devono fare cose provate e riprovate. Eppure la realtà è diversa: uno degli elicotteri cade (in ogni film d’azione che si rispetti c’è un imprevisto). Ma questa è una pellicola pulita, in cui muoiono solo i cattivi: i soldati si salvano, i civili inerti pure. Donne e bambini sono presi in cura dai soldati. Quindi gli spari: muoiono in cinque, compreso un figlio del terrorista e lui, Osama Bin Laden. Il blogger di Abbotabad annota e cinguetta. Sarà uno dei tanti attentati?

Il tempo di prendere il cadavere (il film non ci svela cosa ne verrà fatto) e si torna negli Stati Uniti. E’ tarda sera. Mezzo Paese è a letto ma si sa che il presidente sta per dire qualcosa di importante. E’ il momento del trionfo dei buoni. Obama annuncia: “Missione compiuta, Osama è stato ucciso. Gli Usa non dimenticano”.

La guerra al terrorismo, quella no. Non finisce oggi e non può finire con la morte di un solo uomo. E’ la tomba di Bin Laden la spia. Arabia Saudita e Pakistan non lavogliono, gli Usa non sanno bene cosa farne. Osama riesce a essere un problema anche da morto.

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