ROMA -Ma la borsa a chi serve? Non è l’ultimo manifesto degli indignati: la domanda sorge spontanea leggendo il rapporto “Indici e dati” dell’Ufficio studi di Mediobanca. Un dato su tutti: in Italia, dal 1997 ad oggi i rendimenti del i cari vecchi Bot, i Buoni Ordinari del Tesoro titolo di Stato, hanno conseguito rendimenti maggiori dei titoli azionari. La scelta di affidarsi ai titoli di Stato ha premiato quindi il risparmiatore giudicato prudente e alieno da avventure speculative. Chi ha investito in azioni di Stato dal 1997 ad oggi, in media ha guadagnato il 3,31% contro il 2% di chi ha optato per le azioni. Fino al 1996 era il contrario, anche se con una differenza minore (5,36% annuo reinvestendo i dividendi, il 4,08% per i Bot).
Non è l’unico dato che certifica la crisi di identità di Piazza Affari: dal 2001 a metà ottobre ha bruciato 234 miliardi di capitalizzazione, un 40% secco del totale. Dieci anni fa era concentrato in Borsa la metà del prodotto interno lordo italiano. Adesso non raggiunge nemmeno la quarta parte. La tendenza è strutturale e l’analisi conferma che l’erosione progressiva non è legata alle tempeste finanziarie attuali. Il dimagrimento più vistoso riguarda le banche: ancora nel 2006 rappresentavano un terzo della capitalizzazione totale, mentre a giugno sono scese a un quinto. Tre quarti della capitalizzazione totale vengono oggi dall’industria, mentre nel 2006 rappresentavano il 56%. Altro dato allarmante è la fuga delle imprese dalla Borsa: il saldo tra entrate e uscite (ingressi e delisting) è negativo per 1 unità.
Per rispondere alla domanda iniziale, Sergio Bocconi sul Corriere della Sera, offre una prospettiva storica: “Sul lunghissimo periodo, cioè dal 1938, la Borsa rende in termini in reali solo a chi ha accumulato i dividendi: chi li ha consumati ha perso il 2,2% annuo, chi li ha reinvestiti ha guadagnato l’1,2%”.