
Che cos'è la direttiva Green Claims contro le finte dichiarazioni ambientali delle aziende che la Commissione Ue sta valutando se ritirare (foto Ansa) - Blitz Quotidiano
La Commissione Ue starebbe valutando se ritirare o meno la direttiva contro le finte dichiarazioni ambientali da parte delle aziende nota come Green Claims. A confermarlo è stato venerdì 20 giugno un portavoce della Commissione durante un briefing con la stampa, rispondendo a una domanda sulle critiche sollevate dal Partito Popolare Europeo (Ppe) e dal gruppo Ecr sulla normativa.
Della questione, la Commissione se ne doveva occupare nella giornata di ieri, lunedì 23 giugno, ma non se n’è fatto niente. Come ha spiegato la presidenza polacca alla guida Ue, sulla vicenda è stato “premuto il pulsante pausa” in base ai troppi dubbi. L’Esecutivo Ue aveva annunciato di voler ritirare la legge dicendosi contraria all’inclusione nel campo di applicazione della direttiva di oltre 30 milioni di microimprese. La richiesta, nel fine settimana, avrebbe spinto anche Giorgia Meloni a sfilarsi dal sostegno alla direttiva e a cambiare gli equilibri in seno al Consiglio, dove ad oggi manca una maggioranza solida all’approvazione di questa norma ambientale.
Vediamo quindi nello specifico cosa prevede e le motivazioni per cui era nata.
La direttiva Green Claims
Tra i pilastri del Green Deal a firma Ursula von der Leyen, la direttiva Green Claims era stata presentata dalla Commissione europea a marzo 2023 per proteggere i consumatori da false dichiarazioni ambientali e pratiche di greenwashing (neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata o ambientalismo di facciata) da parte delle imprese. Tra le altre cose, la normativa introduceva requisiti comuni per la comunicazione delle asserzioni ambientali richiedendo alle aziende di dimostrare che le dichiarazioni ambientali siano basate su prove scientifiche riconosciute e imponendo controlli da parte di entità terze prima della diffusione sul mercato.
Dopo due anni di iter legislativo in cui sia Parlamento sia Consiglio Ue avevano già ammorbidito la proposta nelle proprie rispettive posizioni, il negoziato era arrivato alle fasi finali. Nei giorni scorsi si erano però intensificate le critiche alla normativa da parte di europarlamentari del Partito popolare europeo (Ppe), del gruppo dei Conservatori e riformisti (Ecr) e dei Patrioti per l’Europa contro la normativa. Mercoledì scorso il Ppe aveva anche inviato una lettera alla commissaria all’Ambiente Jessika Roswall chiedendole di “riconsiderare e, in ultima analisi, ritirare” la proposta che ora, con molta probabilità, verrà ritirata.

Il greenwashing
La ragione per cui era nata questa indicazione sui Green Claims è legata alla necessità di contrastare la pratica del greenwashing, la risposta (in molti casi poco trasparente) da parte delle aziende alla crescente attenzione dei consumatori verso la sostenibilità.
Con l’approvazione di una norma che tutti e 27 i paesi Ue avrebbero dovuto fare propria, si sarebbero stabiliti dei criteri affinché le informazioni divulgate dalle aziende sarebbero state affidabili e verificabili, contrastando dunque affermazioni fuorvianti sui meriti ambientali di prodotti e servizi. La Ue aveva spiegato che per green claim si intende “un messaggio o una dichiarazione avente carattere non obbligatorio, compresi testi e rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche, in qualsiasi forma, tra cui marchi, nomi di marche, nomi di società o nomi di prodotti, che asserisce o induce a ritenere che un dato prodotto o professionista abbia un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure è meno dannoso per l’ambiente rispetto ad altri prodotti o professionisti oppure ha migliorato il proprio impatto nel corso del tempo”.
La direttiva era nata a seguito di due studi della Commissione Europea realizzati nel 2014 e nel 2020 su 150 asserzioni ambientali. Dalle ricerche era emerso che il 53,3 per cento delle dichiarazioni ambientali esaminate nell’Ue erano risultate vaghe, fuorvianti o infondate. Il 40 per cento delle dichiarazioni green non era invece comprovato da evidenze certe. Infine era emerso che la metà di tutte le etichette green presentavano lacune sulla verificabilità e nelle certificazioni.
Dopo l’annuncio del probabile stop, Fratelli d’Italia che fa parte in Europa del gruppo Ecr ha esultato: “È stato smontato un altro pezzo dell’ideologia green”. Di diverso avviso il gruppo liberale Renew Europe che ha accusato la Commissione di aver tradito il suo mandato.