ROMA – Uno è il presidente di Generali, l’altro il fondatore di Tod’s e la sfida se la lanciano a suon di giornali e dichiarazioni al veleno. Cesare Geronzi è stato attaccato da Diego Della Valle dopo il suo intervento al Forex a Verona al sapor di “che armonia che c’è a Trieste”.
Secondo Della Valle, Geronzi curerebbe solo i suoi interessi, il suo sarebbe un operato assolutamente “personalistico” a discapito della governance. Ma cosa sta succedendo in casa Generali? Chi si contende il Leone.
Massimo Mucchetti dalle colonne del Corriere della Sera analizza la sfida tra i soci eccellenti del gruppo e sottolinea che se Generali vince in quanto a raccolta premi, perde nel rendimento in Borsa. A Trieste ci sono Del Vecchio e De Agostini che sono investitori finanziari che secondo lui prima o poi sono destinati a vendere a differenza di altri.
Per esempio, fa notare il giornalista, “Mediobanca ha il suo 13% di Generali in carico a 2,3 miliardi, uno in meno delle quotazioni correnti, e cristallizza in questo asset la metà del proprio valore di Borsa. Del Vecchio ha l’1,9% a 28 euro per azione, dunque incorpora una perdita teorica di 350 milioni, tanti ma non troppi in un patrimonio stimato in 10 miliardi. De Agostini iscrive il suo 2,3% a 662 milioni, dopo aver contabilizzato perdite per 210 milioni e averne di potenziali per un altro centinaio, su un patrimonio netto di 2,3 miliardi. A Caltagirone il suo 2,2% è costato poco più di 15 euro”.
Mediobanca senza Generali sarebbe la stessa? Per Mucchetti forse no. “I soci tendono a tallonare il management e a controllare tutto, magari temendo che il management stringa legami particolari con alcuni di loro; il management tende a gestire in proprio, e a cogestire il meno possibile con i soci, temendo che questi vogliano ritagliarsi fette di torta. L’aver ancorato le partecipazioni alla creazione di valore, come ha deciso l’ultimo consiglio, incrina le logiche di potere. I prossimi passi riguarderanno lo sviluppo e saranno più difficili. La dipendenza del Leone da piazzetta Cuccia poteva costituire un alibi, oltre che un ancoraggio contro le speculazioni. L’elezione di un consiglio plurale, per metà indicato da Mediobanca e per metà dai nuovi protagonisti, sembrava una svolta”, conclude Mucchetti.