Con l’estromissione di Cesare Geronzi (leggi il ritratto di Scalfari) dalla presidenza delle Generali e, per il momento almeno, dal centro della ragnatela dei poteri forti della finanza, il più titolato a raccoglierne l’eredità appare un pezzo grossissimo del mondo bancario e imprenditoriale: ben oltre i 150 chilogrammi, quasi 190 centimetri di altezza, Fabrizio Palenzona è da più parti considerato quello che, dietro le quinte, senza proclami bellicosi e interviste di fuoco, con il suo lavorìo ha più contribuito a fare le scarpe al banchiere di Marino, così come poco più di sei mesi prima aveva tolto la poltrona di sotto all’ad di Unicredit, Alessandro Profumo, di cui per anni era stato un supporter.
Due vittorie contro avversari di tale caratura già da sole testimoniano a sufficienza del “peso specifico” raggiunto nel mondo della finanza dal banchiere nato a Novi Ligure quasi 58 anni fa e che qualcuno ha già indicato come il “nuovo Geronzi”. A ulteriore conferma dell’irresistibile ascesa dell’ex sindaco di Tortona (dove P. è cresciuto e dove capeggiava un’innovativa maggioranza comprendente il Pci) ed ex presidente della Provincia di Alessandria (candidato senza troppo entusiasmo dalla Margherita, dopo che il vero prescelto aveva cambiato bandiera a poche settimane dal voto) vi è l’elenco delle presidenze e dei consigli di amministrazione collezionati dal Nostro: uno sterminio. Ma soprattutto alcune postazioni strategiche fanno di Palenzona il potenziale regista dei giochi del “salotto buono”.
Il primo e decisivo punto di forza è, per così dire, “provinciale”: il banchiere cattolicone (si è persino sposato due volte in chiesa, grazie alla Sacra Rota) è infatti l’uomo di riferimento della Fondazione della cassa di risparmio torinese (ma anche di quella di Alessandria). La quale è un’importante azionista di Unicredit (3,6 per cento) e ha quindi preteso e ottenuto la carica di vicepresidente per “l’Obelix di Novi Ligure” che oggi va dicendo che l’istituto di piazza Cordusio deve sempre più diventare “banca di sistema”, cioè svolgere un ruolo “politico” nel complessivo sistema creditizio ed economico e non pensare solo alla sua crescita, come andava facendo da anni Profumo. Ed è chiaro che questa nuova frontiera della maggiore azienda di credito italiana potrà essere conquistata solo con un condottiero come Palenzona, ben più addentro alle problematiche “di sistema” e agli incroci fra politica, finanza ed economia, di quanto non lo siano gli spaesati tedeschi di Dieter Rampl. Essendo a sua volta Unicredit il primo azionista di Mediobanca, non può stupire che il poderoso lato B di Fabrizione stia assiso da parecchi anni sulle capaci poltrone del consiglio d’amministrazione di via Filodrammatici. Da lì può impicciarsi con agio degli affari di alcuni fra i maggiori gangli del potere italiano, da Rizzoli-Corriere della Sera a Telecom, da Pirelli a Generali.
Per quel che riguarda il possente Leone triestino, cioè la maggiore multinazionale italiana, Palenzona non si limita certo a qualche sguardo sia pur da vicino ma lo tiene stretto al guinzaglio, forte della doppia “dote” costituita dal 14,4 per cento di Generali detenuto da Mediobanca e, ad ogni buon conto, di un altro pacchetto acquisito recentemente dalla Fondazione Crt il cui direttore generale, Angelo Miglietta, è entrato nell’esecutivo del Leone. Come si vede, una posizione più solida di quella che poteva vantare l’ex presidente della compagnia assicurativa, quel Geronzi che, nel più perfetto stile democristiano, Palenzona non ha mai attaccato pubblicamente ma per la cui permanenza al vertice non ha certo sprecato munizioni, tutt’altro.