BERLINO – Sono tanti ormai quelli che con la febbre da spread invocano tesi anti-tedesche sui costi della riunificazione della Germania nel 1990. Altrettanto accade ora: le recenti cronache circa le preoccupazioni tedesche sul fatto che gli aiuti della Bce ai Paesi deboli dell’eurozona possano rallentare i processi di riforme e risanamento, non possono che riacutizzare le rivendicazioni. Ma chi pagò realmente i costi della riunificazione tedesca? Gli analisti assicurano che l’abbraccio della Germania dell’Est con quella dell’Ovest costò ai tedeschi ben 1400 miliardi. Ma anche gli altri paesi, volenti o nolenti, hanno finito col contribuire alla felice ricomposizione dell’identità tedesca.
Era il 1990 quando Helmuth Kohl sfidò la Bundesbank e impose la parità tra il potentissimo marco e la moneta dell’Est, che sul mercato nero venivano scambiati 10 a 1. Ma quella scelta che non fu mai rinnegata dalla Germania e ancora oggi viene ricordata come l’ultima lezione del cancelliere: quella per cui alcuni ideali (la riunificazione del popolo tedesco) vengono prima dell’economia. Quel cambio 1 a 1, però, costò caro anche alle altre monete europee. E la Germania di oggi, paladina del rigore, sembra aver scordato quella lezione di indiretta solidarietà.
Accadde infatti che, per contenere la grande immissione di nuova moneta, la Bundesbank adottò tassi altissimi, attorno al 10% nel 1993, scongiurando così l’inflazione. Risultato? In quella economia pre-euro, retta dal meccanismo dello Sme, i rialzi dei tassi decisi a Francoforte si riverberarono quasi automaticamente sulle altre monete, traducendosi in recessione per molte economie. L’allora rettore della Bocconi, Mario Monti, davanti alla Commissione Bilancio e Tesoro, diceva: “Il 1992 è stato per la Ceeun anno di disavanzi pubblici elevati, anche a causa della riunificazione tedesca”. E fu così che nel settembre nero, 1993, con una spesa pubblica senza freni, un deficit alle stelle e un debito sul 120% l’Italia fu costretta con la sterlina ad uscire dallo Sme.
C’è chi come l’analista Sandro Gozi, che lavorò nel gabinetto di Prodi, parla di lettura ingenerosa nei confronti della Germania, per la quale fu sì attivato un fondo speciale per i Lander dell’Est, ma è pur vero che “verso la Germania (contribuente netto, che ha più dato che ricevuto dalla Cee e poi dall’Ue) sono andati molti meno fondi che verso il Mezzogiorno.
Ma la solidarietà non è certo mancata a una Germania che oggi si professa paladina del rigore e non ammette sconti a paesi sull’orlo del tracollo come la Grecia. La cancelliera tedesca Angela Merkel si è detta preoccupata che nell’Ue ci si focalizzi su soluzioni “facili” per uscire dalla crisi, come la responsabilità comune per i debiti, misura respinta dalla Germania. “Si parla troppo di condivisione del debito e poco delle riforme strutturali”, ha detto la cancelliera ricordando come sia “avventuroso parlare di crescita sostenibile senza pensare al rigore di bilancio”. A quella cancelliera ricordiamo che c’erano cose in Germania, vent’anni fa, che non avevano prezzo…