Napolitano, un uomo solo…al comando? Le verità che l’Italia sente e non ascolta

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 3 Gennaio 2011 - 14:36 OLTRE 6 MESI FA

Giorgio Napolitano, un uomo solo, al comando? Leggendo, scorrendo, pesando le reazioni e i commenti ufficiali al discorso di fine d’anno del capo dello Stato, viene in mente una parafrasi amara di quanto diceva di Fausto Coppi: il ciclista era un uomo solo al comando che tutti avrebbero voluto seguire, lo statista è un uomo solo e per nulla al comando perché tutti gli danno ragione ma nessuno lo segue, anzi nessuno ha vera voglia di seguirlo. E la solitudine reale di Napolitano è simmetrica e proporzionale alla quantità di verità in quel che ha detto: ad ogni dose di verità, altrettanta solitudine di fatto mal incartata nella cortina fumogena degli applausi di circostanza. Napolitano ha detto il vero all’Italia e agli italiani e, ad ogni pezzo di verità, se il paese lo avesse ascoltato davvero, era un pezzo di consenso di “gente e di Palazzo” che se ne andava.

Ha detto Napolitano che “Occorre sottoporre a una severa rassegna i capitoli della spesa corrente”. Cioè ha messo in discussione il modo di spendere almeno 150 miliardi di euro l’anno. “Severa rassegna” vuol dire che non tutti questi soldi devono essere spesi e spesi così come sono spesi. E come sono spesi? Seguendo la geografia delle richieste di ogni categoria, associazione, sindacato e corporazione che ad ogni intervista, documento, convegno e “tavolo” sempre chiedono al governo e ai partiti, alle Regioni e ai Comuni di non toccare e cambiare i “diritti acquisiti”. Anzi, di incrementare di fatto la spesa corrente. La vera richiesta sociale, cui la politica volentieri si adegua, è su quale “territorio”, geografico e sociale, debba indirizzarsi la “corrente”. Corrente di spesa di cui buona parte della società civile campa. In Italia la “severa rassegna della spesa corrente” non è istanza riformista di massa, è rivoluzione con consenso di assoluta minoranza.

Ha detto Napolitano che va ridotto il debito pubblico. Ma a debito pubblico i pubblici dipendenti e i privati imprenditori vogliono finanziare l’aumento delle retribuzioni e la diminuzione delle tasse. E a debito pubblico Berlusconi pensa di finanziare  il “quoziente familiare”, cioè il meno tasse per le famiglie numerose e quindi l’eterna benevolenza del Vaticano e l’ingresso di Casini in maggioranza. E a debito pubblico la sinistra di Vendola e anche quella di Bersani pensano di finanziare l’intera ripresa dell’economia e l’occupazione.

Ha detto Napolitano che vanno pagate le tasse. E non era solo una predica. Una riforma fiscale vuol dire che i 140 miliardi di agevolazioni, detrazioni e deduzioni vanno azzerati per poter diminuire le aliquote sul lavoro e sull’impresa. Quanti italiani godono di quei 140 miliardi di agevolazioni, deduzioni, e detrazioni? Spesso ottenute o con dichiarazioni dei redditi bugiarde oppure con la capacità di pressione e lobby della categoria di appartenenza? Andare a guardare l’ultimo decreto del governo per averne minimo elenco.

Ha detto Napolitano che occorre aumentare la “produttività”. Cioè la quantità di lavoro e la capacità che il lavoro realizzi “prodotto”. E con questo si è giocato mezza sinistra italiana che pensa che produttività sia sinonimo di sfruttamento. Si è giocato la Fiom, ma anche la Cgil scuola, Vendola e la sua Sel ma anche mezzo Pd. E anche i sindacati moderati del pubblico impiego e anche le associazioni dei benzinai e anche gli ordini professionali e anche…Mezza Italia e più che la produttività la fugge e dalla produttività si difende come fosse una malattia.

Ha detto Napolitano che le aziende devono investire in innovazione e ricerca. Quel che la stragrande maggioranza delle imprese non fanno. E non per pigrizia o incapacità, ma per scelta. Scelta di non rischiare capitali, scelta di illudersi che comprimendo il costo del lavoro e ottenendo favori fiscali il mondo e i mercati ritornano dove erano dieci, venti anni fa.

Ha detto Napolitano ai giovani che la loro sorte è quella dell’intero paese e ha detto loro che non possono puntare all’impiego garantito dallo Stato. E così si è giocato la metà buona dei giovani in piazza e i due terzi dei ricercatori universitari e la totalità del vasto movimento universitario per “l’ope legis”, l’assunzione prima o poi, ma comunque garantita.

Ha detto Napolitano che l’Italia unita merita rispetto e risorse per la sua unità. E così si è giocato l’umore “leghista”, più vasto e diffuso della stessa Lega Nord di Bossi.

Ha detto Napolitano all’Italia che “il continuo progredire del benessere, ai ritmi e nei modi del passato, per noi occidentali non è più perseguibile”. E così ha dato davvero “scandalo”: gli italiani di destra, sinistra, centro e di niente considerano questo una vera bestemmia, attentato alle loro abitudini e aspettative.

Ha steso Napolitano in un discorso il quadro di un programma di governo di una sinistra riformista che, se ci fosse e presentasse questo programma in campagna elettorale, avrebbe in premio forse il 10/15 per cento dei voti, non di più. Ha steso il programma di governo di una destra riformatrice che, se ci fosse e presentasse questo programma al posto di quello berlusconian-leghista, di voti ne prenderebbe ancora meno. Ha detto Napolitano di un “distacco” tra cittadini e politica. Vero, per somma colpa della politica. Ma il Tg de La7 si è incaricato di domandare a giovani sparsi per strada, non un sondaggio ma un assaggio, cosa ne pensassero del suo discorso e la risposta unanime è stata un “Non so, non interessa” spesso condita con un sorriso timidamente e civilmente ebete. Ho sentito esponenti delle professioni, membri della “borghesia riflessiva” che vota s sinistra dire, lamentare che è stato un “discorso noioso e senza palle”. Ho sentito borghesi moderati e cittadini impegnati, elettori berlusconiani e gente “del fare” dire, lamentare che Napolitano “non ha detto nulla”. Non c’è miglior sordo di chi non vuol sentire, il “distacco” dalla politica è anche voglia, responsabilità e alibi della gente.