Lutezio, ittrio, scandio, europio o neodimio. Nomi che ai più non dicono nulla ma che, per l’economia mondiale, sono decisivi. Nomi che significano vantaggi e soldi per la Cina, grane e condizioni difficile per Usa e Occidente.
Si tratta di alcuni dei 17 elementi rari: chiunque non abbia un minimo di dimestichezza con la tavola periodica non li avrà mai sentiti nominare, eppure, senza averne cognizione li usa tutti i giorni o quasi. Il neodimio, per esempio, serve a produrre batterie e motori delle auto ibride o elettriche, per l’hardware dei computer, per i telefonini e per le telecamere. E non mancano gli usi militari: con l’ossido neodimio sono composti i magneti che azionano le ali direzionali dei missili di precisione.
Per fare le lampadine ecologiche, invece, servono l’europio e l’ittrio. Idem per le fibre ottiche che portano internet nelle case. Senza scandio, invece, niente partite in notturna, visto che serve per illuminare gli stadi.
Il problema è che il 97% di questi elementi decisivi per la tecnologia del presente e del futuro si estraggono in Cina. Non perché si trovino solo là. La ragione è diversa: in genere si tratta di sostanze radioattive che comportano rischi per i minatori e per le falde acquifere. Risultato: in Usa hanno smesso di estrarre i minerali in California. I russi lo farebbero, hanno le materie prime ( il 18% del totale) ma non hanno tecnologie e soldi per farlo. Resta la Cina, che trae un bel beneficio dal 37% del totale degli elementi presenti sul pianeta.
Il Pentagono si è accorto che sulla faccenda ci sta rimettendo e non poco, e ha stilato un rapporto la cui conclusione è sconfortante: “Siamo subalterni” e dipendenti dalla volontà di Pechino. Non è solo una questione economica: la Cina che supera il Giappone preoccupa, la Cina che cresce militarmente, anche grazie alle materie prime, in modo esponenziale preoccupa ancora di più. Sul piano economico il punto è che dalla Cina, per vendere i preziosissimi minerali, non vogliono soldi. Almeno non solo: chiedono investimenti nel Paese e condivisione della tecnologia, il preziosissimo “know how”. Insomma un prezzo pesante per le varie Apple, Sony, Nikon ecc…
In primavera, poi, Pechino ha alzato i dazi all’export al 25%, a luglio ha tagliato le quote delle vendite all’estero del 72% per il 2010. L’anno prossimo esporterà solo il 60% del fabbisogno globale e, per il resto, propone alle multinazionali di venire a produrre dove si trova la materia prima.
I cinesi, però, hanno risposto subito al rapporto del Pentagono sulla politica militare della Cina è ”esagerato” e Pechino lo ”condanna con fermezza”. Per Washington Pechino ”continua senza soste” a rafforzare il proprio apparato militare in vista di un eventuale attacco a Taiwan e con l’ obiettivo di affermare la propria supremazia nell’ Oceano Pacifico. Sulla stessa lunghezza d’ onda sono i commenti pubblicati oggi dai principali giornali cinesi, che definiscono il rapporto ”aggressivo” e ”distorto”.
In un editoriale, il quotidiano Global Times scrive che esso ”esprime l’ ostilita’ del Pentagono per il settore militare cinese” e manda ”un messaggio sbagliato” al mondo sul ruolo internazionale della Cina. Il Pentagono sostiene che le spese militari della Cina hanno superato nel 2009 i 150 miliardi di dollari mentre il budget ufficiale di Pechino per l’ esercito e’ di 77,9 miliardi.