ROMA – La francese Total vuole spossessare la italiana Eni dalla Libia e Claudio Descalzi, capo di Eni, vola in Africa per rinsaldare i vecchi legami. I contratti Eni non si toccano, fa sapere quella che è la prima azienda italiana. Intanto l’ Italia si appresta a una escalation in Libia, per garantire il petrolio e mettere ordine nel caos dei rifugiati. L’ obiettivo di soppiantare Eni con Total la Francia insegue da tempo, non solo con la recente mossa del mitico Macron che ha riunito a Parigi i capi dei due spezzoni della Libia. Esso è stato all’origine della guerra civile che ha portato alla morte del povero Gheddafi, tanto disprezzato dalla sinistra perché amico di Berlusconi ma rivalutato ex post come elemento di stabilità.
Claudio Descalzi ha incontrato lunedì 31 luglio a Tripoli il capo del Consiglio di Presidenza del Governo libico di unità nazionale Fayez al-Sarraj.
Descalzi ha anche incontrato il presidente della società di stato Noc, Mustafa Sanalla. Il colloquio, incentrato principalmente sulle attività correnti di Eni nel paese, si è focalizzato su possibili futuri sviluppi, in particolare nel settore del gas. Eni è infatti il principale fornitore di gas del Paese, 20 milioni di metri cubi al giorno alle centrali elettriche, nonché il maggiore produttore di idrocarburi straniero in tutte le regioni della Libia.
Durante l’incontro si è discusso anche della seconda fase di sviluppo del campo di Bahr Essalam, uno dei più grandi giacimenti in Libia e importante fonte di approvvigionamento di gas per il Greenstream. Questa fase prevedrebbe il completamento di 10 pozzi offshore, di cui 9 già perforati nel 2016 e per cui Eni si è aggiudicata il contratto di fornitura e installazione delle strutture. Il primo gas è previsto per il 2018.
Da Tripoli ai Cairo è un’ora di volo. Graziani si fermò prima, non si sa perché. Al Cairo, l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha incontrato il primo ministro egiziano, Sherif Ismail. Al centro del colloquio il futuro del mega giacimento di Zohr, le tappe che stanno segnando il rapido sviluppo del progetto e l’impatto positivo che avrà sull’economia energetica egiziana
Non è affatto un caso, commenta Roberta Amoruso sul Messaggero di Roma,
se all’indomani del faccia a faccia in Libia con il capo del Consiglio di presidenza del governo libico di unità nazionale, Fayez al-Sarray, Claudio Descalzi si sia poi recato in Egitto per un bilaterale con il primo ministro Sherif Ismail al Cairo. Eni ha di fatto le chiavi di quasi tutti i campi funzionanti in Libia, la maggior parte off shore al largo di Tripoli (gran parte delle strutture del paese nel deserto e controllate da altri gruppi sono ferme), produce il gas che tiene acceso il paese libico e vuole continuare a farlo.
Quanto all’Egitto, anche in questo caso è stato il gas al centro dei discorsi al Cairo. I lavori per il giacimento offshore di Zohr. il più grande del Mediterraneo, sono all’80% in poco meno di due anni, un record per l’industria. Con un potenziale di 850 miliardi di metri cubi di gas in posto, Zohr non solo sarà in grado di soddisfare la quasi totalità della domanda interna di gas naturale per i prossimi decenni a venire, ma potrà anche creare le condizioni per consentire all’Egitto di tornare a essere un esportatore netto di energia. Non è poco da ricordare al Cairo per Descalzi.
Sarà dunque vero che la tappa in Egitto era già stabilita da tempo nell’agenda di Descalzi, come ribadiscono dall’Eni anche per la tappa in Libia. Ma è evidente quanto il tempismo dell’ad sia perfetto per marcare un territorio presidiato da 60 anni e, nonostante le instabilità politiche, molto ambito anche da altri. Per esempio dai francesi di Total, a giudicare dalle mosse recenti di Emmanuel Macron. Certo, per il presidente francese ospitare nei giorni scorsi una riunione tra Serraj, il capo del governo libico a Tripoli designato dall’Onu, e il più rilevante dei suoi oppositori, il generale Khalifa Haftar, ministro della Difesa di Tobruk e uomo forte della Cirenaica, sarà servito per dare un segnale politico sul fronte migranti, ma anche per immaginare un nuovo ruolo anche per Total nel Paese libico. Tutto legittimo. Ma vale la pena di ricordare che al di là delle mire, anche queste legittime, dei possibili concorrenti internazionali, ci sono contratti e concessioni ben precise che stabiliscono come l’Eni ha di fatto il controllo di tutti i campi e giacimenti funzionanti al momento nel Paese libico. Si tratta di contratti blindati, fanno notare gli analisti, accordi con la compagnia di stato libica (la Noc) che devono essere rispettati. Neanche gli scossoni politici scattati nel 2011 hanno mai cambiato le cose su questo fronte. Insomma, le concessioni passano da gare di lunghissimo periodo, dati gli investimenti in campo.
Roberta Amoruso analizza “i numeri in campo”. A giugno è stato riaperto il pozzo di Sharara gestito da Total francese (che ha interessi anche nel campo di Mabrouk), Repsol spagnola, Omv austriaca e Statoil norvegese. Ma Eni ha il monopolio nel paese dopo la crisi del 2011, anche considerando i siti aperti. Il 60% della produzione giornaliera del gruppo, che ammonta a circa 35 milioni di metri cubi di gas, va ad alimentare il mercato locale, e quindi a far funzionare le centrali elettriche del Paese. La produzione di petrolio invece fatica. Prima della crisi il paese produceva circa 1,5 milioni di barili, ora a stento 350 mila. Ma la Libia rappresenta comunque circa il 20% della produzione d’idrocarburi complessiva di Eni.
Rimane il fatto che la Libia ha un ruolo cruciale nella geografia degli interessi economici delle oli company internazionali. Basta dire che il Paese possiede le maggiori riserve di petrolio dell’Africa, le none nel mondo, circa 48 miliardi di barili (il 3% circa dell’intero ammontare delle riserve mondiali). Un valore legato però alla stabilità del Paese. Anche per questo le mosse di Macron non possono impensierire il numero uno dell’Eni che anzi ha auspicato un ritorno della concorrenza in Libia. «Spero tornino tutti i grandi concorrenti, da Total a Bp a Exxon», ha detto in più di un’occasione Descalzi, «in Libia vogliamo competere, significherebbe più sviluppo e più investimenti, è auspicabile non essere soli».