Movimento dei Forconi: “Sono loro i nuovi poveri” – Marco Revelli

a cura di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 14 Dicembre 2013 - 06:30| Aggiornato il 6 Marzo 2015 OLTRE 6 MESI FA
Movimento dei Forconi: "Sono loro i nuovi poveri" - Marco Revelli

Movimento dei Forconi: “Sono loro i nuovi poveri” – Marco Revelli

“Torino è stata l’epicentro della cosid­detta “rivolta dei for­coni”, almeno fino o ieri. Torino è anche la mia città. Così sono uscito di casa e sono andato a cer­carla, la rivolta, per­ché come diceva il pro­ta­go­ni­sta di un vec­chio film, degli anni ’70, ambien­tato al tempo della rivo­lu­zione fran­cese, «se ‘un si va, ‘un si vede…». Bene, devo dirlo sin­ce­ra­mente: quello che ho visto, al primo colpo d’occhio, non mi è sem­brata una massa di fasci­sti. E nem­meno di tep­pi­sti di qual­che clan spor­tivo. E nem­meno di mafiosi o camor­ri­sti, o di eva­sori impu­niti.

La prima impres­sione, super­fi­ciale, epi­der­mica, fisio­gno­mica – il colore e la fog­gia dei vestiti, l’espressione dei visi, il modo di muo­versi -, è stata quella di una massa di poveri. Forse meglio: di “impo­ve­riti”. Le tante facce della povertà, oggi. Soprat­tutto di quella nuova. Potremmo dire del ceto medio impo­ve­rito: gli inde­bi­tati, gli eso­dati, i fal­liti o sull’orlo del fal­li­mento, pic­coli com­mer­cianti stran­go­lati dalle ingiun­zioni a rien­trare dallo sco­perto, o già costretti alla chiu­sura, arti­giani con le car­telle di equi­ta­lia e il fido tagliato, auto­tra­spor­ta­tori, “padron­cini”, con l’assicurazione in sca­denza e senza i soldi per pagarla, disoc­cu­pati di lungo o di breve corso, ex mura­tori, ex mano­vali, ex impie­gati, ex magaz­zi­nieri, ex tito­lari di par­tite iva dive­nute inso­ste­ni­bili, pre­cari non rin­no­vati per la riforma For­nero, lavo­ra­tori a ter­mine senza più ter­mini, espulsi dai can­tieri edili fermi, o dalle boîte chiuse.
Le fasce mar­gi­nali di ogni cate­go­ria pro­dut­tiva, quelle “al limite” o già cadute fuori, fino a un paio di anni fa ancora sot­tili, oggi in rapida, forse ver­ti­gi­nosa espan­sione […]

Non erano una scheg­gia di mondo poli­tico viru­len­tiz­zata. Erano un pezzo di società disgre­gata. E sarebbe un errore imper­do­na­bile liqui­dare tutto que­sto come pro­dotto di una destra gol­pi­sta o di un popu­li­smo radi­cale. C’erano, tra loro quelli di Forza nuova, certo che c’erano. Come c’erano gli ultras di entrambe le squa­dre. E i cul­tori della vio­lenza per voca­zione, o per fru­stra­zione per­so­nale o sociale. C’era di tutto, per­ché quando un con­te­ni­tore sociale si rompe e lascia fuo­riu­scire il pro­prio liquido infiam­ma­bile, gli incen­diari vanno a nozze. Ma non è quella la cifra che spiega il feno­meno. Non s’innesca così una mobi­li­ta­zione tanto ampia, diver­si­fi­cata, mul­ti­forme come quella che si è vista Torino. La domanda vera è chie­dersi per­ché pro­prio qui si è mate­ria­liz­zato que­sto “popolo” fino a ieri invi­si­bile. E una pro­te­sta altrove pun­ti­forme e selet­tiva ha assunto carat­tere di massa…”

Marco Revelli, “L’invisibile popolo dei nuovi poveri”, Il Manifesto, 13 dicembre 2013