“Bele sì (proprio qui)”, storia degli Ebrei ad Asti”, dal 1300 alla Shoah

"Bele sì (proprio qui)", storia degli Ebrei ad Asti", dal 1300 alla Shoah
“Bele sì (proprio qui)”, storia degli Ebrei ad Asti”, dal 1300 alla Shoah

ROMA – “Bele sì (proprio qui)”, storia degli Ebrei ad Asti”, dal 1300 alla Shoah. Il censimento del 1911 segnalava ad Asti la presenza di 199 ebrei: una storia lunga quella della comunità discendente dai primi askhenaziti insediatisi alla fine del 1300 all’epoca in seguito alle persecuzioni in Francia e Germania. Una storia interrotta di cui, come ha scritto Stefano Jesurum sul Corriere della Sera, rintracciare “le radici nella cenere della Shoah”. Lo hanno fatto Maria Luisa Giribaldi e Rose Marie Sardi con il saggio “Bele sì, Ebrei ad Asti” (Ed. Morcelliana), dove viene descritta l’epopea di una comunità coesa, con i suoi costumi, i suoi riti, la peculiarità di una liturgia salmodiata tipicamente askhenazita capace di accogliere e integrare l’arrivo dei sefarditi cacciati dalla Spagna.

Il saggio in uscita sarà presentato da Franco Debenedetti (che cura anche la prefazione) insieme a Alberto Cavaglion e Paolo Debenedetti, il 18 marzo al Palazzo dell’Archivio di Stato di Asti. Non c’è solo ovviamente la restituzione di una storia di integrazione e successo, come quella di Isacco Artom, primo consigliere di Cavour e primo ebreo con incarico diplomatico fuori dal suo paese in Europa: non manca, negli altalenanti rapporti con la comunità cristiana, l’accusa di omicidio rituale, la chiusura del ghetto. Ma è proprio il riconoscere le sorgenti nascoste, il legame indissolubile con un passato sepolto, il filo conduttore del libro e che, attraverso le distanze e le diaspore, restituisce una origine e una originalità viva. E’ quel passato che

li fa (essere? sentire? rappresentarsi? ricordarsi?) ebrei (…) Lo stimolo per approfondire le ricerche e arricchire i racconti. Perché lì stanno le radici del platano, le memorie e le culture da tramandare (…) Molte sono le strade che hanno preso quelli che sono usciti dalle tante Asti d’Italia e del mondo. Ci sono quelli che ebrei lo sono nel rispetto della ritualità, nella conoscenza della lingua, nell’osservanza delle norme; e ci sono quelli secolarizzati. Ci sono quelli per cui l’essere ebreo è diventare israeliano, altri per cui è avere il mondo come patria. Ci sono ortodossi e riformati. Ci sono cattolici che restaurano la sinagoga, ed ebrei orgogliosi di non averne una (…) Per Lacan, l’ebreo è quello che sa leggere, ed è perché l’ebreo Freud sa leggere che anche noi sappiamo leggere, abbiamo iniziato a leggere, siamo stati iniziati a leggere altrimenti: l’analista segue le vie del midrash , in analisi si leggono, si recitano, si interpretano le Scritture. (Franco Debenedetti, prefazione a “Bele sì, Ebrei ad Asti”, Ed. Morcelliana)

 

 

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