Business sulle nuvole, la tecnologia “cloud” piace all’Europa: i rischi per la privacy

Pubblicato il 26 Luglio 2011 - 17:11 OLTRE 6 MESI FA

Ap photo /Lapresse

ROMA – Quasi come un coniglio dal cilindro, il patron di Apple Steve Jobs è stato il primo a tirare fuori la parola “cloud” sulla piazza internazionale.

Dal cielo della mela smangiucchiata è scesa tra i comuni mortali la curiosità riguardo al cloud computing o ”l’Internet sulle nuvole”, quel sistema tecnologico per piccole e medie imprese o ancora pubbliche amministrazioni che permette di ridurre i costi di gestione dei servizi e delle infrastrutture esternalizzando la conservazione o il trattamento dei dati su server messi a disposizione da altre società e collocati anche in parti diverse del mondo.

Il business sulle nuvole però è senza frontiere e comincia a stuzzicare anche le aziende europee: non è più solo una guerra confinata ai grandi colossi, da Amazon a Google. E’ il trend del momento, tanto che il New York Times lo celebra con un’intera pagina.

E’ la storia di Shutl quella usata come esempio della parabola vincente sul dorso della “nuvola”: si tratta di un’azienda britannica di consegne a domicilio che è riuscita a districarsi tra le regole europee. Certo per ora il cloud non è di certo la regola, rappresenta un’eccezione, un germoglio ancora acerbo in un mercato che ancora deve passare l’esame.

I proventi sono quelli che invogliano di più chi sta investendo nella galassia in rete di dati e informazioni condivise e la prospettiva è quella di crescere almeno del 19% per raggiungere quota 29.5 miliardi di dollari annuali nel 2015. La sfida è grossa e in mezzo al cammino ci sono ostacoli culturali, di confidenza con la tecnologia, ma soprattutto legali.

Il nodo più grande da risolvere in Europa è quello della privacy, perché in ballo c’è la gestione di migliaia di dati personali degli utenti, elemento non da poco su un’eventuale bilancia che pesa i pregi di flessibilità e di economicità della nuvola con i difetti.

“Nonostante la sfida sia dura, la nuvola sta passando sull’Europa”, ha detto laconico Adam Selimpsky, numero due dei servizi web di Amazon.com. La speranza, almeno per ora, non risolve il problema e soprattutto le restrizioni di natura giuridica, visto che nel Vecchio Continente è vietato il trasferimento dei dati oltre i confini dell’Unione europea. Ciò che è privato in Europa causa solo svariati mal di testa a quegli americani che si sono avventurati nell’impresa di capire qualcosa in più.

L’attrazione per la nuvola c’è di certo, assicura il New York Times, soprattutto il giro di soldi che potrebbe generare (e fare risparmiare) è quello che fa gola. Per esempio il fondatore di Shutl.co.uk, grazie alla tecnologica cloud di Amazon, è riuscito a tenersi nelle tasche 100 mila sterline o 163 mila dollari sul sistema di computer internazionale.

Per lasciare che l’internet fra le nuvole possa tranquillamente approdare nelle aziende europee la questione andrebbe portata dritta nelle sedi giuste. Così ha deciso di fare il commissario Ue per la Giustizia, diritti fondamentali e cittadinanza Viviane Reding: un cloud senza una solida base di norme sulla protezione dei dati “non è il tipo di nube che ci serve”, ha detto ribadendo la necessità di garantire agli utenti il controllo sui dati personali (foto, appuntamenti, email)  conservati in server remoti.

“Fino a poco tempo fa si è creduto che i nostri approcci in materia di privacy differissero così tanto che sarebbe stato difficile lavorare insieme. Ma questo non può più essere sostenuto”, ha continuato la Reding. “Questo sviluppo – che è accolto con grande favore in Europa – dimostra che abbiamo molto in comune. La convergenza sta sorgendo e ora è possibile pensare anche alle sinergie e alla rimozione delle lacune tra i nostri rispettivi sistemi”, ha aggiunto la Reding.

Stando al ragionamento del commissario la certezza giuridica è un fattore essenziale per garantire l’espansione di Internet. Se la prima legge europea per la protezione dei dati risale al 1995, dopo sedici anni è arrivato il momento di nuove regole: “Le tecnologie – ha detto ancora la Reding – sono progettate per servire la gente e devono pertanto rispettare i diritti e le libertà dei cittadini, oltre che contribuire al progresso economico e sociale su entrambe le sponde dell’Atlantico, all’espansione del commercio e de benessere dei cittadini”.

E in Italia? Secondo Francesco Pizzetti, Garante dei dati personal ”le tecnologie cloud consentono di trattare e conservare i dati su sistemi dislocati nelle diverse parti del pianeta e sottoposti, nella loro inevitabile materialità, a molti rischi, da quelli sismici a quelli legati a fenomeni di pirateria, non solo ‘informatica’, o ad atti di terrorismo o a rivoluzioni imprevedibili”. Mentre ”le imprese e gli operatori a cui il mercato offre questi nuovi servizi – ha aggiunto – pensano soprattutto alla diminuzione di costi o alle opportunita’ di costante ammodernamento che queste tecnologie consentano, prestando scarsa attenzione al fatto che comportano la perdita del possesso fisico dei dati e dei programmi operativi che utilizzano”.

Per il garante sono da valutare attentamente, ad esempio, le clausole contrattuali per l’erogazione del servizio di cloud con particolare riferimento ad obblighi e responsabilità in caso di perdita, smarrimento dei dati custoditi nella nuvola e alle conseguenze in caso di decisione di passaggio ad altro fornitore. E’ utile inoltre conoscere in quali nazioni sono conservati i propri dati poiché vi sono forti implicazioni di natura legale in caso di problemi o di disputa giudiziaria. Devono essere note anche le misure di sicurezza adottate per proteggere i dati, come ad esempio l’utilizzo di meccanismi di cifratura per la memorizzazione o la trasmissione dei dati. Occorre infine verificare se i dati sono conservati in formato proprietario, rendendo così difficile una loro eventuale esportazione, e controllare se i dati conservati dal fornitore vengono cancellati dopo che il cliente ha deciso di interrompere il servizio.