“Monti credibile, la sua Agenda no”. Lo scetticismo del Wall Street Journal

Pubblicato il 10 Gennaio 2013 - 13:39 OLTRE 6 MESI FA
“La controversa eredità Monti e le tormentate prospettive”: sul Wall Street Journal tutto lo scetticismo sull’Agenda del Prof

“La controversa eredità di Monti e le tormentate prospettive” (Alberto Mingardi, The Wall Street Journal edizione europea) che la sua ascesa nell’arena politica genera, affronta la questione Monti dal punto di vista di chi, soprattutto dall’estero, ha visto la sua figura emergere come il massimo della credibilità e del rigore dopo l’era del bunga bunga e ora si interroga se quella figura manchi della cultura e delle capacità politiche per incarnare la svolta auspicata di un Paese alle prese con i problemi che sappiamo. Sintetizzando: può, e, soprattutto, vuole Mario Monti presentarsi come il campione di un centrodestra liberale in grado di raccogliere la sfida del risanamento senza il solito ricorso (di sinistra) all’aumento delle tasse? Può proporsi, come una Margaret Thatcher aggiornata e  rivista, quale leader che fonda il suo programma su liberalizzazioni e taglio vero della spesa pubblica?

Alberto Mingardi, studioso e giornalista (promotore dell’Istituto Bruno Leoni, think tank del liberalismo e Adjunct Scholar del Cato Institute di Washington DC) non nasconde le sue perplessità. E lo fa ospitato sul quotidiano che riflette gli umori della comunità finanziaria americana. Certo, il Professore ha ottenuto credibilità internazionale laddove il discredito gareggiava con il disgusto, sul Professore hanno scommesso mettendoci la faccia il fior fiore dei leader occidentali ecc… L’analisi dei suoi 13 mesi di governo, però, per Mingardi è molto, ma molto deludente. E, il vizio d’origine dello strano esecutivo che ha presieduto, non sembra debellato con la fine dell’esperienza dei tecnici: contrattare e mediare ogni singolo provvedimento per farlo digerire ai due partiti avversari che lo sostenevano non può essere altro che un blando surrogato di soluzioni efficaci e non rinviabili. Mettersi a cavallo delle due grandi famiglie politiche italiane certifica l’impressione.

“Monti ha ottenuto una buona riforma delle pensioni, ha aumentato le tasse e poco altro”: questo il magro consuntivo dell’austerity montiana, secondo Mingardi. Ma nemmeno la famosa Agenda Monti convince lo studioso: “Non c’è nulla che lo identifichi con un governo che persegua il taglio della spesa pubblica e l’apertura dei mercati”. Il suo manifesto è abbastanza generico da offrire una visione bipartisan del suo programma: di nuovo, l’equidistanza non è la stessa cosa di decidere una buona volta.

Figura pubblica credibile, agenda politica non credibile, il verdetto su Monti. Perché è difficile credere a significative dismissioni pubbliche riesumando stanchi slogan sulla vendita di asset patrimoniali tipo caserme, edifici di pregio ecc: già visto, già fallito.  E’ difficile credere a una severa azione riformatrice quando l’unico mercato liberalizzato riguarda la vendita di Eni gas su cui alla fine ci ha messo le mani la Cassa Depositi e prestiti (“una sorta di rinazionalizzazione mascherata”). “La parola privatizzazioni non è mai nemmeno pronunciata”.

A parte il lodevole aumento dell’età pensionabile, nulla durante il governo è stato fatto per riformare il sistema del welfare, anch’esso gravato dai cresciuti livelli di aspettativa di vita. Sulla sanità, per esempio, zero riforme. Per Mingardi, Monti dovrebbe accreditarsi quale credibile referente di un centrodestra finalmente liberato dall’ipoteca Berlusconi. Non lo farà, anzi, il sistema politico italiano lo spingerà a cercare una forma di rappresentanza che seppure non maggioritaria gli garantisce spazi di interdizione e quindi influenza. Oppure, finirà per spingersi tra le braccia dei socialdemocratici. Verso queste due non esaltanti prospettive lo spingono “l’eredità del suo governo e la tentazione a garantirsi un posto sicuro nella politica di domani”.