MILANO – Il colosso della fotografia Getty evade le tasse? La risposta dovrà arrivare dal Tribunale di Milano dopo che l’agenzia torinese LaPresse ha sollevato il dubbio, facendo causa a Getty Images Italia, Getty Images Devco Italia e Getty Images International, per “concorrenza con mezzi non corretti”.
I fatti che hanno portato a questa battaglia legale risalgono al 2014, quando Getty International annunciò fotografie gratis per tutti su internet purché non se ne facesse un uso commerciale e si indicasse la fonte.
Spiega Massimo Sideri sul Corriere della Sera:
“Il pagamento scatta — chiaramente — per gli usi commerciali. Ma è nelle pieghe di questa seconda fase che si è accesa una battaglia legale con LaPresse — società di Marco Durante che dal secondo dopoguerra raccoglie e rimpingua archivi fotografici — finita alla Sezione specializzata in materia di imprese del Tribunale di Milano”.
Il giudice ha rigettato il ricorso di LaPresse. Ma allo stesso tempo, sottolinea sempre Sideri,
“la trasmissione degli atti in Procura per la valutazione sarà seguita da molte aziende perché potrebbe costituire un precedente importante per dare una risposta a un quesito che circola in molti settori legati direttamente o indirettamente a Internet: l’utilizzo di strutture fiscali come il «double Irish» — diventata famosa con i cosiddetti Over the Top a partire da Google e di cui si discute a livello europeo — e delle stabili organizzazioni occulte nei vari Paesi sono anche lesive della concorrenza?”.
Il Tribunale di Milano durante questo processo di LaPresse contro Getty ha nominato un consulente tecnico che ha emesso questa ordinanza, riportata sempre da Sideri:
“Ci si troverebbe di fronte a un’ipotesi occulta di stabile organizzazione (…) il che imporrebbe che i redditi generati in Italia (…) venissero considerati prodotti nello Stato e qui tassati. L’occultamento della stabile organizzazione di fatto consentiva a Getty International di beneficiare del più favorevole regime fiscale irlandese”.
Il giudice ha sottolineato che
“invero, non risulta automatico che l’eventuale violazione di norme pubbliciste fiscali si traduca in un vantaggio competitivo, dovendo provarsi un nesso causale tra l’illecito amministrativo ed un comportamento concorrenziale dannoso», ma, allo stesso tempo, ha quantificato in un 18,9% «l’indebito risparmio fiscale che può essere riguardato sotto il profilo della riduzione dei costi complessivi per la realizzazione del servizio venduto”.
Ora saranno i magistrati a dover decidere se procedere oppure no.