Agonia della busta paga: tasse, inflazione e poca produttività i killer

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 22 Dicembre 2011 - 20:01 OLTRE 6 MESI FA

Lapresse

ROMA – Che i salari italiani siano bassi, inferiori a quelli degli altri paesi europei e dei paesi industrializzati in generale non è una novità. Si è detto e scritto e, cosa più importante, i lavoratori italiani lo vivono quotidianamente. Ma perché i nostri salari sono così bassi? In fondo l’Italia è tra i sette paesi più industrializzati e più ricchi del pianeta, non si può certo dire che, a livello globale, il nostro paese sia messo male. E allora chi sono i killer delle nostre retribuzioni, con chi ce la dobbiamo prendere?

I principali nemici dei nostri salari sono due: tasse ed inflazione. Principali ma non unici però, tasse ed inflazione esistono ovunque, noi ci aggiungiamo del nostro: la scarsa produttività e la bassa crescita. Oltretutto, che i salari italiani siano bassi è un dato oramai consolidato da oltre un quindicennio ma negli ultimi anni stiamo perdendo sempre più posizioni in classifica aumentando il divario che ci separa dai paesi più “virtuosi” e, inoltre, la forbice tra salari ricchi e salari poveri nel nostro paese aumenta di anno in anno.

Secondo i dati 2010 dell’Ocse, l’organizzazione dei Paesi più industrializzati, l’Italia si colloca al 22esimo posto su 34 nella classifica dei salari netti: 25.155 dollari (19.350 euro). Mille euro in meno della media Ocse e quasi 4 mila in meno della media dell’Ue a 15. Nel Regno Unito la retribuzione netta è stata di 11 mila euro superiore a quella media italiana. In Germania hanno preso quasi 5 mila euro in più che da noi, in Francia 2 mila e perfino in Spagna ci hanno superato di circa 1.500 euro. L’Italia è comunque ultima per livello di salario netto tra i Paesi del G7.

Le tasse sono, ovviamente, uno dei motivi, se non il principale, della povertà delle retribuzioni nostrane. Mettendo infatti a confronto il livello di imposizione fiscale sugli stipendi l’Italia si colloca al quinto posto su 34, con un prelievo del 46,9% misurato sulla retribuzione media di un lavoratore single senza figli. Ci battono, nell’ordine, solo Belgio (55,4%), Francia (49,3%), Germania (49,1%) e Austria (47,9%). Invece, Spagna, Olanda e Danimarca stanno intorno al 38-39% e il Regno Unito al 32,7%. Se poi si mettesse a confronto il prelievo su un lavoratore con carichi familiari è probabile che la posizione dell’Italia peggiorerebbe, per esempio rispetto alla Francia che ha il Fisco col quoziente familiare. L’incrocio dei due dati dimostra però che la pressione fiscale deve avere uno o più alleati nella battaglia contro i redditi. Francesi e belgi ad esempio pagano più tasse di noi, come anche i tedeschi, eppure guadagnano più di noi.

A fianco della pressione fiscale troviamo quindi l’inflazione, tornata a correre a un ritmo che i nostri redditi non riescono a seguire. Dal ’96 a oggi le retribuzioni lorde sono rimaste al palo. Scrive la Banca d’Italia nell’ultima relazione annuale: “Nel settore privato tra il 1996 e il 2010 le retribuzioni reali di fatto per unità di lavoro sono aumentate dello 0,7% all’anno, quelle contrattuali dello 0,4%”. Ma nell’ultimo anno è venuta meno anche la tenuta rispetto all’inflazione ufficiale. Gli ultimi dati dell’Istat, riferiti al terzo trimestre del 2011 segnalano che nei confronti dello stesso periodo del 2010 le retribuzioni lorde sono aumentate dell’1,4%, cioè meno della metà rispetto ai prezzi (l’inflazione ha raggiunto il 3,3% a novembre).

Tasse ed inflazione quindi i due nemici più pericolosi, i nemici principali, ma con contorno di scarsa produttività e crescita. Nemici che insieme hanno contribuito alla continua discesa nella classifica dei salari del nostro paese e hanno allargato la forbice tra ricchi e poveri nel nostro paese. Negli ultimi 10-15 anni infatti la posizione relativa dell’Italia è peggiorata. È aumentato cioè il divario rispetto a Regno Unito, Germania, Francia e Olanda. Il motivo è che la produttività è rimasta quasi ferma, mentre altrove è aumentata. Il salario medio del 10% più ricco nel nostro Paese poi, dice l’Ocse, è oltre 10 volte quello del 10% più povero: 49.300 euro contro 4.877, e il divario è aumentato rispetto agli anni Novanta, quando era di 8 a 1. Secondo il 12° Rapporto sulle retribuzioni in Italia 2011 di OD&M, effettuato elaborando le retribuzioni di un campione di 700 mila lavoratori, i dirigenti guadagno in media 106.886 euro lordi, i quadri 53.585, gli impiegati 27.009, gli operai 21.793.

L’inflazione e il cosiddetto cuneo fiscale, dunque, hanno un peso nel far perdere terreno ai salari, già tradizionalmente bassi in Italia, a causa della struttura produttiva dominata dalle piccole e piccolissime imprese. Sempre l’Istat osserva che “i lavoratori dipendenti delle microimprese (meno di 10 addetti) percepiscono una retribuzione annua pro capite di 18,4 mila euro, il 65,6% di quella percepita in media dai dipendenti delle imprese con 250 addetti e oltre (28,1 mila euro). Il differenziale retributivo medio legato alla dimensione aziendale è riscontrabile in tutti i macrosettori di attività economica”. Le imprese con più di 250 dipendenti sono appena 3.502 su un totale di 4,3 milioni. Quelle con meno di 10 addetti 4,1 milioni. La dimensione media delle aziende italiane è di 3,9 addetti. Il valore aggiunto pro capite nelle microaziende è di 24 mila euro, in quelle con più di 250 dipendenti è invece di 60 mila euro.