Giustizia, i quesiti del referendum, l’avvocato spiega perché voterà 4 Si e 1 No: lotta tra partiti e magistratura

Giustizia, i quesiti del referendum, un avvocato spiega perché voterà No: la lotta tra i partiti e la magistratura, una contesa che non giova al Paese

di Antonio Buttazzo
Pubblicato il 12 Giugno 2022 - 07:49 OLTRE 6 MESI FA
Giustizia, i quesiti del referendum, un avvocato spiega perché voterà No: è la lotta tra partiti e magistratura

Giustizia, i quesiti del referendum, un avvocato spiega perché voterà No: è la lotta tra partiti e magistratura

Giustizia, se l’Italia fosse un Paese normale non si terrebbe un referendum su temi complessi come quelli che riguardano l’Amministrazione della Giustizia.

Tuttavia, non fosse altro per sensibilizzare la classe politica sulla urgenza di alcune riforme, ben vengano i referendum promossi dai Radicali e non dalla Lega che, pur avendo raccolto le firme, non le ha poi depositate in Cassazione.

Dei 5 quesiti, due sono chiari, altri 2 meno, uno piuttosto velleitario. Dico Sì ai primi 4 No al quinto

Il più importante, almeno secondo me, riguarda l’abolizione della norma che permette l’applicazione di una misura cautelare quando l’esigenza che si intende tutelare sia quella della “reiterazione del reato”.

È in effetti il motivo di gran lunga più frequente adombrato dal Pm procedente tra quelli che permettono che scattino le manette.

Una motivo di cautela di cui si abusa spesso.

Anche le norme previste dalla Legge Severino, che impediscono la incandidabilità e la decadenza per effetto di una sentenza di condanna per chiunque ricopra una carica elettiva, sono soggette a referendum.

Abrogare la norma significherebbe eliminare l’automatismo e demandare al giudice la facoltà di decidere volta per volta se applicare o meno l’interdizione dai pubblici uffici.

Una soluzione francamente più ragionevole rispetto all’ansia giustizialista che ha ispirato la Legge Severino.

Sì al quesito se si vuole l’abrogazione di quella norma dell’Ordinamento della Giustizia che limita a quattro i passaggi tra la funzione requirente e quella giudicante.

Sul punto però bisogna essere chiari: si tratta di separazione delle funzioni e non delle carriere, sicuramente non la riforma (che dovrebbe essere di rango costituzionale), che distinguerebbe definitivamente la figura del Pubblico Ministero da quello del Giudice, come l’avvocatura auspica da decenni.

Sul ruolo dei Consigli Giudiziari, non mi pare ci sia una informazione chiara.

L’avanzamento delle carriere dipende da CSM che si basa, questo sì, sulle valutazioni che dei giudici fanno i Consigli Giudiziari, composti anche da avvocati e professori universitari. Che però non votano nei giudizi sull’operato dei magistrati.

Il quesito mira ad eliminare la norma che impedisce ai membri laici di esprimersi sui magistrati.

Penso che se la Legge ha previsto la  rappresentanza di tutte le componenti in seno al Consiglio Giudiziario, è giusto che abbiano pari dignità.

Anche se ritengo che dovendo essere il CSM ad esprimersi sulla qualità dell’operato del magistrato, non è che il voto di un avvocato o di un professore cambi le cose nella sostanza.

Se il CSM opera con logiche diverse dal merito o dalla professionalità della Giustizia, non sarà il diverso funzionamento dei Consigli Giudiziari a cambiare le cose.

E cosi arriviamo al quesito che ritengo coltivi un proposito velleitario: l’abolizione delle correnti in seno al Csm.

Lo si vorrebbe perseguire attraverso l’eliminazione di quella norma che impone al giudice di raccogliere (almeno) 25 firme per potersi candidare.

Ma veramente può credersi che basti questo per eliminare intrighi e camarille che la cronaca ci dice si consumano piuttosto nelle salette riservate degli hotel e nei salotti privati degli interessati?

Il più astruso dei quesiti è però anche il più “politico”.

Attiene alla lotta tra i partiti e la magistratura, una contesa che francamente non ritengo giovi al Paese.

A questo quesito, e solo a questo, io personalmente voterò “No”, per la assoluta inidoneità del fine che si prefigge e che non si raggiunge con l’abolizione di una norma interna al funzionamento del CSM.