Marcello Dell’Utri arrestato in Libano: estradizione difficile?

di Antonio Buttazzo
Pubblicato il 13 Aprile 2014 - 09:27 OLTRE 6 MESI FA
Marcello Dell'Utri arrestato in Libano: estradizione impossibile?

Marcello Dell’Utri: la sua estradizione dal Libano non appare certa

Non è scontato che la procedura di estradizione di Marcello Dell ‘Utri, arrestato sabato a Beirut, in Libano, sia rapida e soprattutto che si concluda con la consegna dell’ex senatore.

Il motivo risiede nel fatto che la misura cautelare applicata dalla Corte d ‘Appello di Palermo è stata emessa in relazione ad un reato, l’associazione a delinquere di stampo mafioso, che non ha riscontro immediato e diretto in altri ordinamenti.

Ai fini della cooperazione internazionale, gli ordinamenti giuridici di tutti i Paesi, salvo trattati specifici bilaterali, prevedono che affinché si proceda all’estradizione, le norme di legge che si assumono violate debbono essere previste come reati anche negli ordinamenti dello stato estradante.

La questione, nel caso di specie, è poi resa ancora più complicata dal fatto che l’ex senatore Dell’Utri è imputato di “concorso esterno “in associazione mafiosa che non è una autonoma figura di reato bensì una elaborazione giurisprudenziale volta a rafforzare lo strumento normativo per fronteggiare il fenomeno criminale mafioso.

E’ innegabile che in Italia, dapprima a causa del terrorismo e poi per l’escalation del fenomeno mafioso/politico/affaristico, si sia generata una casistica anomala, contingente ed eccezionale di produzione normativa e giurisprudenziale che provoca grandi perplessità all’estero quando i Tribunali sono chiamati a dare riconoscimento alle sentenze italiane oppure a provvedimenti limitativi della libertà personale come i mandati di cattura internazionali.

La dottrina più autorevole è stata sempre molto critica nei confronti di questa elaborazione giurisprudenziale, criticando le estreme genericità e vaghezza della condotta punibile che si risolve in un deficit di garanzie che dovrebbero sempre essere tutelate in uno stato di diritto.

D’altro canto non si comprende perché la politica non si sia mai preoccupata di regolare positivamente ed in maniera compiuta la condotta del partecipante “esterno” al sodalizio mafioso, lasciando ai Tribunali il compito di definire l’ambito di applicazione della norma.

Di fronte a questa situazione è chiaro che Dell’Utri sosterrà davanti un Tribunale libanese chiamato a decidere della sua estradabilità di essere sottoposto a giudizio accusato di un reato che non esiste in quell’ordinamento giuridico e che perdipiù gli viene addebitata una condotta punibile non in base alla legge bensì alla interpretazione che di questa, in modo molto discutibile, ne hanno dato i Tribunali costruendo una figura criminosa con caratteristiche di difficile definizione.

A poco varrà sostenere che esiste un trattato bilaterale di estradizione tra i due Paesi, non potendo questo strumento superare le inevitabili obiezioni che opporrà la difesa di Dell’Utri.

Sarà certamente un argomento spendibile proficuamente insomma quello dei suoi avvocati, quando sosterranno che il loro assistito è stato tratto a giudizio per un reato la cui fattispecie incriminatrice è così poco determinata.

Ancora una volta quindi ci troviamo a dover pagare lo scotto di una legislazione poco chiara, frutto di compromessi politici volti più a soddisfare esigenze contingenti ed eterogenee che a perseguire il fine di una seria lotta alla criminalità organizzata mediante strumenti legislativi chiari, efficienti, garantisti.