Daniela Cesarini, una vita a muso duro e poi l’eutanasia in Svizzera

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 3 Maggio 2013 - 12:36| Aggiornato il 7 Marzo 2023 OLTRE 6 MESI FA

JESI (ANCONA) – È morta a Basilea a 66 anni il 25 aprile, nel giorno della Liberazione. Un giorno scelto non a caso perché Daniela Cesarini, una vita da militante comunista, ha scelto il “suicidio assistito”. Una scelta che la accomuna a un altro grande comunista, Lucio Magri, fra i fondatori del Manifesto.

Era nata e vissuta a Jesi e aveva da subito dovuto convivere con la poliomelite. Un’infanzia difficile nella quale però i suoi genitori la convinsero che si poteva fare tutto, anche in carrozzella: bastava essere forti e volerlo.

Si laureò in Economia e Commercio, prese una borsa di studio in Statistica e poi riuscì a entrare in banca, dove ha lavorato, all’ufficio studi, per 35 anni. Si sposò con Amedeo Piersantelli e ancora prima con il Pci, partito nel quale entrata a vent’anni per uscirne solo dopo la svolta della Bolognina, quando la Cesarini passò con Rifondazione Comunista.

Frequentatrice assidua del circolo “Karl Marx”, organizzava le “Ripetizioni popolari”, insegnando matematica ai figli degli immigrati. Negli anni 80 si fece due mandati da consigliere comunale. Poi la nominarono assessore ai servizi sociali, ma, racconta a Jenner Meletti di Repubblica Simona Marini, che era in giunta con lei: “Si dimise subito quando la giunta decise di costruire una centrale a turbogas. Promettevano 264 posti di lavoro, hanno assunto 13 persone in tutto. Come sempre, aveva ragione lei. […] Era una donna legnosa e testarda, dura e caparbia. Ma poi capivi che era soprattutto generosa e che si batteva non per sé ma per gli altri. L’ho vista ridere poche volte”.

Ancora meno occasioni per ridere gliele ha date la lunga malattia del marito Amedeo, poi morto nel 2008. Daniela, che “aveva una corazza inattaccabile” e che “non voleva mai parlare della sua disperazione”, continua a lavorare e a partecipare alla vita politica.

Alle elezioni comunali del 2012 ci mette la faccia, si candida a sindaco per Prc, sapendo di non avere possibilità di vittoria come tutti i candidati dei piccoli partiti. Prende 918 voti, un onesto 4,56%. Non è certo un dispiacere, anzi le comunali di Jesi sono un esempio di quanto avesse ancora voglia di lottare.

Voglia che però le passa quando il figlio Diego, 28 anni, in cerca di lavoro, muore dopo la notte di capodanno, il 3 gennaio 2013. I giornali dicono “dopo un mix di alcol e cocaina… ha avuto un arresto cardiaco e due amici lo hanno accompagnato all’alba in ospedale, guidando la sua macchina. Poi sono arrivati i carabinieri e loro si sono dileguati”. Lei protesta: “Non è vero. Diego non si droga”. Ma il dolore è troppo grande.

Daniela prende una decisione che annuncia ai suoi amici con un sms: “Ognuno vada dove vuole andare / ognuno invecchi come gli pare / ma non raccontare a me cos’è la libertà“: è il testo di “Quattro Stracci”, canzone di Francesco Guccini, ora stampato dai compagni della sezione e appeso accanto alla foto di Karl Marx. Lascia le chiavi di casa al cugino Paolo Filonzi, l’unico parente che le era rimasto: “Vado a fare un piccolo viaggio”, come spesso faceva, prendendo treni e aerei in barba alla poliomelite.

È il 22 aprile. Daniela in serata arriva a Basilea e chiede il suicidio assistito. Per due giorni si sottopone alle domande degli psicologi ai quali conferma il proprio stato di lucidità e la propria irrevocabile decisione. Il giorno della Liberazione dice addio alla vita. L’urna con le ceneri verrà sepolta accanto alla tomba del figlio.

Visse costretto su una sedia a rotelle anche Pierangelo Bertoli, che cantò la sua vita “a muso duro, un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”.