Craxi e Andreotti, 30 anni dopo, confronto con Kohl e la Germania: ecco perché l’Italia è un disastro politico

Craxi e Andreotti, 30 anni dopo, confronto con Kohl e la Germania: ecco perché l'Italia è il disastro politicio e economico che oggi è, dominata dall'odio e paralizzata nell'azione

di Giorgio Oldoini
Pubblicato il 22 Maggio 2022 - 08:13 OLTRE 6 MESI FA
Craxi e Andreotti, 30 anni dopo, confronto con Kohl e la Germania: ecco perché l'Italia è un disastro politico

Craxi e Andreotti, 30 anni dopo, confronto con Kohl e la Germania: ecco perché l’Italia è un disastro politico

Bettino Craxi e Giulio Andreotti, in questi giorni si è tenuto un convegno a Roma, a loro dedicato, 30 anni dopo.

Giulio Andreotti ha dovuto affrontare processi penali legati a vicende di tipo mafioso. E tuttavia, nonostante la gravità del reato ascrittogli, era ricevuto in udienza pubblica dal Papa ed invitato a convegni ove svolgeva apprezzate relazioni politiche.

Bettino Craxi è stato condannato per finanziamento illecito al partito e reati “connessi”. Quali erano i reati “connessi”? Si trattava di ciò: se un partito riceveva contributi da una persona fisica, il solo reato sussistente era il finanziamento irregolare (che non consentiva l’arresto).

Craxi e Andreotti, quali reati?

Se a pagare era un’impresa societaria, si poteva configurare il reato di falso in bilancio e procedere all’arresto degli amministratori e dei percettori (i segretari di partito). Si trattava di giurisprudenza “innovativa”, mai applicata nei 50 anni precedenti e che non aveva uguali in altri pasi europei. Questa normativa venne modificata negli anni successivi dalla nuova classe dirigente del paese.

Verso la fine degli anni settanta mi occupai delle vicende economiche e giudiziarie del giornale genovese “Il Lavoro”, una delle testate più prestigiose del Partito Socialista che aveva avuto Sandro Pertini tra i suoi direttori. Per fare uscire la società editrice dal fallimento era necessario un importante contributo della direzione nazionale del Partito socialista italiano, all’epoca guidato da Bettino Craxi.

Quella risposta di Craxi

Fu per questo organizzato un incontro all’Hotel Plaza di Genova, al quale intervenni presentando un piano industriale di risanamento. In poche settimane la segreteria amministrativa trovò le somme necessarie per pagare giornalisti e tipografi.

Alla fine della riunione, mi rivolsi a Bettino Craxi, che avevo conosciuto durante i miei anni di politica universitaria.  “Per quale ragione, gli chiesi, invece di fare come i comunisti e i democristiani che si avvalgono di fondi irregolari, i socialisti non denunciamo che le campagne elettorali in Italia sono falsate dai finanziamenti di potenze straniere e dei vari padronati? Accodiamoci alla linea dei radicali….”.

Non mi lasciò finire e così mi rispose: “Ti presenti da me, chiedi sull’unghia una cifra molto rilevante e non ti chiedi dove prendo i soldi? A parte che radio radicale deve la sua sopravvivenza economica ai socialisti, tutti sanno che i fondi del finanziamento pubblico servono a coprire una minima parte di quanto serve per fare politica. In ogni caso, un’anima bella come sei tu, conoscendo la possibile origine dei fondi, dovrebbe rinunciare al salvataggio del giornale”.

Turbato dalla rivelazione di Bettino Craxi

Non uscii dalla riunione con l’animo sereno, mi sentivo come un guitto che elemosina alla corte del principe. Alla fine ero un professionista che aveva dato un contribuito tecnico e non era tenuto a farsi certe domande.

Era proprio vero che tutti i partiti ricorrevano a dazioni irregolari per pagare le spese del partito, come aveva affermato Craxi nel corso di un famoso discorso alla Camera, e che il fenomeno era “non solo” italiano?

In Germania, agli inizi degli anni Ottanta, moriva l’industriale Flick. Nella Sua cassaforte furono trovate le prove documentali della sistematica corruzione di tutta la classe politica tedesca. La questione suscitò un certo scalpore ma la procura archiviò tutto in pochi giorni.

L’esempio della Germania

La carriera del cancelliere Helmut Kohl s’interruppe nel 1999 per l’accusa di finanziamento illecito nei cinque anni precedenti. Kohl ammise di avere ricevuto “donazioni” in nero per circa 2 miliardi di marchi e tangenti pagate dalla Elf Aquitaine.

Egli si rifiutò di indicare le fonti delle donazioni perché “aveva dato la parola d’onore” e giustificò i “contributi” della Elf (ricevuti grazie alla mediazione di Mitterand) con ragioni di “politica industriale”. Kohl fu indagato per “amministrazione impropria di denaro altrui”. La Procura lasciò cadere i reati di riciclaggio, di frode e di falsa testimonianza. L’uomo pubblico rimase “Padre della Patria” e non fece un giorno di prigione.

Anni dopo, Angela Merkel dichiarò di voler “sfruttare l’esperienza di questo grande statista”, rimasto il più amato dai tedeschi. In Italia, episodi identici diedero il via ad arresti di massa e alla fine ingloriosa di alcuni partiti tradizionali e, con essi, dei loro iscritti e simpatizzanti. Sta di fatto che la Germania resta un paese-guida con una classe politica forte e credibile mentre l’Italia è dilaniata da un diffuso sentimento d’odio che non riesce a debellare.

La posizione dei giudici su Craxi

I giudici italiani sostenevano che Craxi avrebbe trattenuto parte dei fondi neri per sé. Posso dare testimonianza della falsità di questa affermazione, risalente all’anno “Secondo” del Terrore giudiziario (il 1993). Craxi era uscito di scena e il partito socialista aveva nominato nuovi segretari.

Prima Giorgio Benvenuto e, subito dopo, Ottaviano del Turco, i quali mi interpellarono su una questione molto delicata. Mi fu chiesto quali rischi giudiziari essi potevano correre, qualora avessero preso in mano certi conti esteri. Spiegai che il pool di Milano non si sarebbe limitato a perseguirli per concorso in finanziamento illecito. I due segretari non accettarono di ricevere quei conti esteri. Posso dunque affermare che esistevano disponibilità ricondotte a Craxi, che erano state messe a disposizione del partito e che determinarono la sua condanna.

L’”eretico” doveva essere messo al rogo perché aveva commesso peccati capitali. Si era schierato con i movimenti di liberazione (Palestina, Cile), aveva condannato l’invasione sovietica del 1980 (al contrario di quanto fece Giorgio Napolitano, futuro presidente della Repubblica).

Aveva ospitato rifugiati come Jiri Pelikan. Aveva contrastato gli americani a Sigonella. Eliminata la scala mobile e tentato di impedire la svendita di imprese pubbliche.

I custodi del “nuovo che avanza” sarebbero diventati capi di governo, ministri, “capitani coraggiosi”.

Nel corso del 1995, 17 presidenti delle autorità portuali su un totale di 18, vennero designati dal solo Pds. Il prof. Guido Rossi, un grande giurista con le “amicizie giuste”, aveva dichiarato che uno di questi personaggi (l’on. D’Alema) aveva trasformato Palazzo Chigi nella più grande merchant bank, l’”unica al mondo in cui non si parla l’inglese”.

I nuovi guru dell’economia teorizzavano l’esigenza di produrre “valore”. E, per gonfiare le proprie tasche, avviavano licenziamenti di massa a spese dell’Erario, determinando le condizioni per disastrosi conflitti sociali. La demonizzazione dell’avversario politico continuava a essere il collante della politica.

Le vicende successive sono note a tutti gli italiani. L’avvento di partiti destrutturati e dei movimenti. L’intervento in politica di persone dotate di evidente goffaggine. L’impoverimento del nostro tessuto economico, istituzionale e sociale, di cui gli italiani si sarebbero ben presto resi conto.

Gli ex socialisti riformisti dovrebbero ricordare questo “loro” passato prima di esprimere il voto alle prossime elezioni locali e a quelle politiche del prossimo anno.