Donald Trump presidente: il pifferaio promette, come Berlusconi 20 anni fa, come Grillo oggi…

Pubblicato il 9 Novembre 2016 - 11:42 OLTRE 6 MESI FA
Donald Trump presidente: il pifferaio promette, come Berlusconi 20 anni fa, come Grillo oggi...

Donald Trump presidente: il pifferaio promette, come Berlusconi 20 anni fa, come Grillo oggi…Giuseppe Turani (nella foto) analizza il voto in Usa

Donald Trump eletto presidente degli Usa è una lezione anche per noi. Quando c’è crisi, se la risposta di chi governa non appare adeguata a chi sta sotto, la risposta di chi sta sotto è di seguire  il pifferaio di turno. Successe in Italia, nel 1994, quando Berlusconi promise un milione di posti di lavoro, pensioni aumentate, sanità in stile svizzero per tutti, metà degli italiani gli credette, a lui o ai suoi compari Bossi & Fini. Eravamo nel pieno di una crisi che le misure adottate dal Governo Amato – Ciampi non fecero che aggravare. Proprio come oggi a seguito degli intervento di Mario Monti.

Succede ora in America, con Trump. Può succedere di nuovo anche in Italia, attenti, le elezioni sono alle porte, votando no le farete anticipare. Giuseppe Turani analizza il voto americano in questo articolo, “Il pifferaio Donald”, pubblicato anche su Uomini & Business.

Quello che non doveva accadere è successo: Donald Trump sarà  il 45° presidente degli Stati Uniti. Osservatori, esperti e sondaggisti hanno sempre sbagliato tutto. Non doveva vincere le primarie, e le ha vinte. Il partito repubblicano non doveva presentarlo (i boss si sono rifiutati di votarlo), ma alla fine è stato lui a correre per la Casa Bianca, e ha vinto. Lui, l’ultimo arrivato in politica, ha fatto a pezzi la poderosa macchina da guerra del clan Obama-Clinton, uno dei più agguerriti del mondo, ridicolizzando tutti i sondaggi.

Come mai è successo tutto questo? Nei prossimi giorni saremo sommersi da analisi: il voto giovanile, i millenials, l’America delle periferie, i latinos, gli afroamericani, gli stati del sud.

In realtà c’è qualcosa di assai più grave, una sorta di filo rosso che lega quello che è appena successo in America a quello che sta accadendo nel resto del mondo.

E cioè: siamo in una fase in cui i ceti popolari e i medio borghesi impoveriti e confusi votano per qualunque pifferaio purché sia “contro” l’establishment. In sostanza, larghi strati della popolazione non hanno gradito come i governi hanno reagito alla crisi del 2007: troppo  lenti e con risultati troppo modesti. Da lì la voglia di spaccare tutto, di cambiare, anche se non si sa bene verso che cosa.

La riprova si ha nel tono della campagna elettorale americana. Hillary Clinton ha detto tante cose sagge, diligenti, ma nessuno ha capito che lei era appunto il bersaglio. E lei non ha saputo presentare sogni, ma solo un lento cammino verso il miglioramento. A un certo punto, senza che nessuno se ne accorgesse, ha cessato di essere una possibile soluzione per diventare parte del problema. E ha perso.

La situazione non è diversa da quella che abbiamo visto in Inghilterra con la Brexit, in Francia con la signora le Le Pen, in Italia con grillini e leghisti, e così via.

In un certo senso potremmo dire che siamo entrati nella stagione dei pifferai: chiunque offra di risanare tutto, senza costi, ma soprattutto prometta di liquidare l’establishment alla fine vince.

Quasi cinquant’anni fa gli studenti francesi sfilavano in corteo per i viali di Parigi chiedendo l’immaginazione al potere: era la  prima generazione che aveva avuto molto, ma voleva tutto.

Oggi si ripete un po’ la stessa storia, rovesciata: votano per Trump e per gli altri pifferai sparsi per il mondo quelli che nella recente crisi hanno perso molto e che temono di perdere tutto. I ragazzi del ’68 avevano avuto cose che i loro padri nemmeno avevano immaginato, quelli di oggi sanno che saranno comunque più poveri dei loro genitori e con assai meno futuro.

L’impasto sociale-psicologico che ha portato Trump alla Casa Bianca è esattamente questo: tutto va male, non si capisce niente, sbaracchiamo tutto. E diamo retta al pifferaio: ha detto che riporterà in America le fabbriche, come non credergli? E’ esattamente quello che vogliamo. Ha detto che abbasserà le tasse? Meraviglioso. Ha detto che manderà un po’ a quel paese gli europei: bene.

Ma che cosa succederà davvero poi?  Probabilmente meno di quello che la  gente (e lo stesso Trump) pensano. L’America è una macchina pesante, ci sono molti contrappesi, i poteri forti esistono davvero, le varie lobbies sono molto potenti. Trump vorrebbe lanciare una politica economica neo-protezionista, rinchiudere l’orgogliosa America in una specie di gabbia autosufficiente. Ma si sa, da alcuni secoli, che il protezionismo non funziona. Invece di arricchirsi, ci si impoverisce. E quindi dovrà venire a patti con se stesso. Non può togliere gli Stati Uniti dal consesso mondiale. Dovrà adattarsi.

Esempio: Wall Street lo detesta e lui detesta Wall Street. Ma senza Wall Street l’America si ferma: il vero potere degli Stati Uniti sta lì, ancora prima che nelle armate e nei bombardieri.

Insomma, la partita è aperta. Probabilmente dovrà deporre il piffero e imparare come funziona un grande Paese, cosa non facile, per nessuno. E’ stato difficile per Obama, sarebbe stato difficile per Hillary, sarà difficile per lui, ancora di più.