Coronavirus, Pasqua senza Pasqua, mistica del digiuno dalla Madonna della Guardia a Genova

di Franco Manzitti
Pubblicato il 8 Aprile 2020 - 06:05 OLTRE 6 MESI FA
Madonna della Guardia

Coronavirus, Pasqua senza Pasqua, mistica del digiuno dalla Madonna della Guardia a Genova

Anche i discepoli erano al buio quando Cristo fu crocifisso e rese lo spirito.

Anche loro credevano che fosse tutto finito e la Maddalena cercava il corpo per ungerlo dentro al sepolcro.

Il buio della Pasqua, prima delle Resurrezione, sembra quello del mondo di oggi, immerso nella pandemia planetaria senza neppure il conforto delle Messe, delle liturgie sacre della Settimana santa – ti dice don Marino Poggi, il direttore della Charitas di Genova, già missionario a Cuba, dove, primo prete cattolico della storia, suonò le campane della sua chiesa nel silenzio ateo della isola comunista e supercastrista.

È una Pasqua senza riti religiosi, con le chiese dai portoni aperti ma senza i riti tradizionali che l’hanno sempre segnata per chi ci crede e anche per chi no.

Non era mai accaduto nella Storia millenaria, se non con rare eccezioni che bisogna sfogliare nella Storia per riscoprire.

Solo durante la Rivoluzione Francese le chiese restarono chiuse per anni e così accadde anche nel 1926 in Messico, durante una rivolta anticlericale e più recentemente nel regno ultra comunista in Albania di Enver Hoxa, il dittatore che aveva chiuso il Paese.

E i cattolici, i credenti dalla fede forte, ma anche quelli tiepidi, che durante la Settimana Santa e a Pasqua tornano ad affacciarsi per visitare i sepolcri del Giovedì Santo, per assistere al rito della lavanda dei piedi e si preparano alla festa della domenica di Resurrezione, dopo avere celebrato la domenica delle palme, con lo sventolio degli ulivi benedetti, come lo attraversano questo buio?

“Devono riflettere su quanto è successo, come fecero i discepoli allora – suggerisce don Marino che è una delle coscienze forti della chiesa non solo genovese – devono cercare di capire quello che stiamo vivendo. “

Allora era la morte in croce dopo la notte dell’orto del Getzemani, la passione del Cristo, la sua incoronazione con le spine, la crocifissione, la morte con quella frase al cielo: oh signore perché anche tu mi hai abbandonato?, poi la deposizione, il cielo che diventa buio, appunto, il velo nel tempio che si squarcia……

“ Anche i discepoli hanno paura, si spaventano, si arrendono alla verità che vuol dire non possederla non capire, ma lasciarla parlare. E il buio è anche la loro incredulità alla riapparizione di Gesù, con Tommaso che vuole toccare con mano le piaghe.”

E oggi qual è la verità che ci sta parlando così crudelmente nel tempo del virus che ha sconvolto la vita di tutti?

“È la verità di una sanità che combatte una battaglia sovrumana per salvare i malati, che conta le enormi sofferenze di tutti, che magari dimentica le altre piaghe del mondo davanti a questa, i 350 mila morti della guerra in Siria, gli emigranti che muoiono a Lesbo, cercando un pezzo di terra dove vivere……”, ecco il buio in cui siamo immersi, aspettando la Pasqua senza pasqua.

I credenti, i cattolici vedono Gesù andare in onda, in questo tempo mai vissuto e mai raccontato, in streaming con le messe in Tv, quelle del papa da santa Marta e tutte le altre, nelle chiese, appunto, aperte, ma chiuse.

Che diventano perfino il terreno della speculazione politica di chi, come il leghista Matteo Salvini chiede di riaprirle, sventolando i rosari e recitando le smozzicate frasi dell’”Eterno riposo”, insieme alla conduttrice tv più in voga del momento.

Ma come sono questi riti televisivi che il popolo in esilio dei cattolici segue, ondeggiando nella domenica delle Palme, per esempio, in un ballottaggio tra la soluzione della Messa in diretta dalla san Pietro romano-barocca di papa Francesco e quella gotico-milanese dell’arcivescovo Mario Delpini dal Duomo meneghino.

Che incredibile ballottaggio, che zapping irriverente, tra soluzioni diverse e comunque mediate dal mezzo televisivo, usato secondo la tecnica stile Bruno Vespa del Tg1, dove i telecronisti raccontano il rito come se fosse una partita di calcio o secondo quella dei giornalisti milanesi, che scelgono la tecnica dei silenzi lunghi.

Perché una Messa va ascoltata o anche commentata?

In realtà il problema delle chiese e delle liturgie precipitate anch’esse nel lock down e della distanza che si crea tra i celebranti, anche i più alti come il massimo Pontefice e il popolo in cerca di preghiera e raccoglimento, ne nasconde un altro ben più generale e complessivo.

Quando e come si ricomincerà a riunirsi di nuovo in chiesa, evitando rischi e strumentalizzazioni ? Che cosa capiterà al popolo dei fedeli, che già si era assottigliato con la secolarizzazione mondiale, almeno in Italia al 17 per cento della popolazione?

Il tarlo angoscia le gerarchie cattoliche e non solo quelle, perché l’abitudine a non frequentare più, potrebbe abbassare ancora quella media, addirittura fino al 10 per cento.

In Francia era accaduto, dopo la Rivoluzione francese, e alcuni studiosi hanno calcolato che quel distacco non è mai stati del tutto recuperato nei secoli diciannovesimo e ventesimo. Figuriamoci ora.

Qualche osservatore acuto come Massimo Introvigne, sociologo, direttore del Cesnur, Centro studi delle religioni, spiega che la Chiesa avrebbe bisogno di esprimere una sua narrazione di quanto sta avvenendo al mondo, una sua lettura per il cataclisma che ha fatto desertificare anche i suoi riti fondamentali nel momento clou della liturgia.

La Pasqua, la resurrezione del Cristo, appunto l’uscita dal buio. Certo, papa Francesco del suo ce lo mette, celebrando e predicando con concetti semplici, ogni giorno dal suo collegio di santa Marta e mandando in mondovisione la sua immagine epocale della solitudine in Piazza san Pietro, in quel giorno epico di pioggia e vuoto-pieno, che ha impressionato molto anche chi non crede o crede in altro modo.

Insomma il rischio che la chiusura o meglio la sospensione delle celebrazioni pubbliche costituisca un altro pericolo per il futuro della Chiesa è vissuto con grande apprensione e non certo solo in Vaticano.

Anche se c’è chi sostiene che questo “digiuno eucaristico” trova radici antiche e quindi una teoria dei corsi e ricorsi e non solo gli esempi della Rivoluzione Francese, della Albania e del Messico mangiapreti.

Lo ricorda un altro grande prete, monsignor Marco Granara, rettore del Santuario della Madonna della Guardia, un faro della fede genovese, piazzato in cima a una montagna all’interno della città, meta di pellegrinaggi per “grazie ricevute” .

“Questo digiuno ricorda i tempi delle persecuzioni, quando i credenti si nascondevano sottoterra per celebrare la comunione che Cristo aveva insegnato – spiega Granara -.

“E poi, senza andare tanto lontano, era un digiuno difficile da rompere quello sotto certi regimi totalitari. Ricordo i racconti di certi vescovi vietnamiti costretti a celebrare, con una briciola di pane e una goccia di vino, la Messa nei tempi in cui la repressione era ancora più pesante. In Corea del Sud la religione cattolica è sopravvissuta per cento anni senza preti.”

Don Granara è molto pragmatico: “Quante volte andiamo a Messa tanto per farlo e allora non vale di più oggi questo digiuno senza celebrazione, ma con la presenza della realtà in cui crediamo?

“Il trauma ti induce a pensare che ci devono essere delle presenze obbligatorie per chi crede veramente: per esempio la distinzione tra realtà sacramentale e celebrativa.”

Sono parole consolatorie, che possono colmare il digiuno dei cattolici, prolungato fino a in tempo indeterminato, non certo quello delle persecuzioni o delle dittature super atee, ma chissà quanto lungo?