Famiglia segnata, Paolo Scerni ultima vittima delle autostrade a Genova, "narrazione esagerata"per la De Micheli Famiglia segnata, Paolo Scerni ultima vittima delle autostrade a Genova, "narrazione esagerata"per la De Micheli

Famiglia segnata, Paolo Scerni ultima vittima delle autostrade a Genova, “narrazione esagerata”per la De Micheli

Una famiglia segnata. Ma Paolo Scerni è solo l’ultima vittima del caos delle autostrade a Genova. Si è trovato davanti al muso della sua macchina il muro di un Tir bulgaro, che stava uscendo da una area di servizio contro mano. E non ha avuto neppure il tempo di capire che stava morendo. Che, come nella canzone di De André, “non gli sarebbe neppure rimasto il tempo di lanciare un lamento”.

“E che la sua vita finiva in un momento senza che ci potesse essere ritorno”.

E’ morto così Paolo Scerni, 46 anni, agente marittimo, campione di vela, ultimo erede maschio di una dinastia genovese molto conosciuta, di gran nome nello shipping mondiale. Di una famiglia che il destino avverso ha colpito con una crudeltà terribile, in una catena di lutti che dura da decenni. Da quando, 60 anni fa, in pochi mesi se ne andarono, in incidenti stradali, i suoi due zii paterni. Ancora a Bonassola parlano della maledetta curva nella strada per Levanto dove morì Scerni.

A lui è toccato sulla autostrada A 26, tra Masone e Ovada, nel percorso tra Genova e Alessandria. In quel circuito micidiale che sono diventate da un anno le autostrade liguri e genovesi. Martellate dai cantieri. Vere gimkane per tir, autocarri, traffico commerciale e traffico civile. Che ti costringono, se ci entri, a giocare come alla roulette russa.

Una tragedia di una famiglia e di una città

Scerni Paolo, figlio di Gianni, già leader dello shipping genovese, già presidente del Genoa Criket and Foot Ball Club, della Camera di Commercio di Genova e del Rina, l’ente di certificazione con peso mondiale, è l’ultima vittima di una settimana terribile. Che conta altri quattro “caduti” in quel circuito impossibile. Dove i salti di corsia, i cantieri, i fiumi di migliaia di Tir, con autisti in arrivo da tutto il mondo, storditi da percorsi e code infinite, sono quella roulette russa.

Paolo Scerni era il responsabile della importante attività di agenzia marittima con molte cariche nel business di famiglia e una leadership conquistata con le sue capacità. Per lui il buio dell’infermo in autostrada si è presentato nel viaggio verso Nord, sulla A 26. L’unico percorso per andare a Milano. Perché la A7, la direttissima costruita ai tempi di Mussolini e raddoppiata dopo la guerra, è chiusa in partenza da Genova.

E così l’assedio del traffico alla Liguria ha avuto la eco di una morte da vera tragedia, perché gli Scerni sono stati già ripetutamente colpiti da un destino crudele.

Due fratelli del padre della vittima di oggi erano morti in incidenti stradali in età giovanile. Lasciando l’eredità, ma anche il peso delle attività di famiglia in diversi settori, non solo in quello navale e marittimo, a Gianni. Poi colpito da giovane padre dalla morte dolorosissima di una figlia di soli due anni. E, più recentemente, da quella della moglie, Savina. Uccisa da un tumore in pochi mesi. Savina era un personaggio a Genova non solo come moglie di un leader cittadino. Ma perché impegnata nel teatro come importantissima manager. Che aveva praticamente resuscitato nel settore del varietà. Dove il cartellone del suo “Politeama Genovese” era diventato grazie a lei un must italiano e un richiamo per i più importanti artisti.

L’ultimo colpo del destino contro la famiglia Scerni

Con questo colpo la dinastia, nata 180 anni fa nel porto di Genova, subisce un trauma fortissimo. E la famiglia vede ancora una volta messa in crisi una tradizione passata di generazione in generazione, attraverso attività diverse. Non solo quelle dell’agenzia marittima ma anche quella dei viaggi, che era stato il primo incarico di Paolo Scerni.

La eco è molto forte e sottolinea non solo la sciagura famigliare. Ma l’insicurezza della rete autostradale genovese in una catena quasi incredibile di coincidenze. Che legano gli incidenti uno all’altro. Il Tir, che con una manovra folle ha provocato l’incidente, tra Masone e Ovada, era reduce da una coda eterna sulla A 10. Provocata da un altro incidente poi rivelatosi anch’esso mortale, tra i caselli di Celle e di Varazze. Dove un altro mezzo pesante, sbandando sulla sua corsia unica, aveva colpito l’auto sulla quale una giovane donna viaggiava in direzione opposta.

La peggio l’aveva avuta la auto privata e inutile era stato ogni tentativo di soccorso con il trasporto all’ospedale più vicino.

I difficili soccorsi, il dramma di una famiglia, la sofferenza di Genova

Ma anche i soccorsi diventano difficili nella Liguria dei mille cantieri provocati dalla manutenzione fallimentare delle autostrade di Benetton nell’area ligure. Dove sono annunciati lavori per almeno i prossimi cinque anni, tra ponti e gallerie.

E’ come se tutto si stesse disfacendo improvvisamente. Mentre in realtà le carenze della gestione autostradale datano oramai da anni e anni. Lo stanno svelando in modo eclatante e quotidiano gli atti istruttori del processo per il crollo del ponte Morandi. Che raccontano le carenze di un sistema nel quale gli interventi manutentivi erano considerati un danno. Perché significavano più spese e meno dividendi per la società concessionaria e i suoi padroni.

E’ cominciato tutto da lì, dal crollo del ponte Morandi e dalle 43 vittime del 14 agosto 2018. L’inchiesta, che è nata allora per scoprire le ragioni di una catastrofe assurda, ha innescato i controlli sulla rete autostradale e svelato quelle carenze.

Sono crollati nel frattempo pezzi di gallerie, come sulla stessa A 26 della morte di Scerni. O addirittura pezzi di autostrada, come sulla A 6, tra Savona e Torino.

Messi alle strette e sotto la minaccia del ritiro della concessione da parte del Governo di allora, che era il Conte 1, nella primavera del 2020, i concessionari, riconducibili alla società Atlantia, hanno cominciato i lavori ovunque. Provocando un primo colossale blocco del traffico in Liguria, proprio nei giorni della fine del primo lockdown.

Oggi per questo motivo la rete è come in gabbia e ogni spostamento è a rischio, non solo per la sicurezza, ma per la possibilità di spostarsi in Liguria e nelle aree limitrofe.

Ogni giorno ci sono incidenti e conseguenti blocchi, con code di decine di chilometri, che bloccano le autostrade e poi le strade statali, dove si cerca uno scampo a ore e ore di stop.

Va in crisi il traffico commerciale e quello privato, vanno in crisi gli spostamenti sopratutto nelle riviere liguri, dove si viaggia solo sulla statale Aurelia, intasata come mai è accaduto.

Ma quello che oggi è minacciato è il turismo, fermo per il lockdown e per i confini chiusi tra le regioni, ma risorsa fondamentale per l’economia.

Si moltiplicano gli appelli al Governo, che finora non hanno avuto grande successo. L’ex ministro del Pd, Paola De Micheli, titolare dei Trasporti, aveva addirittura inizialmente snobbato il caos, derubricandolo a “narrazione” eccessiva.

Ora il presidente della regione Giovanni Toti spera di smuovere Draghi e il suo ministro competente in materia, Enrico Giovannini, sul cui tavolo il dossier Liguria è già arrivato.

Ma intanto il caos è quotidiano e tutti pagano prezzi pesanti, perfino inimmaginabili, come quei Comuni, dove anche il vaccino anti Covid non riesce ad arrivare in tempo perché le strade di comunicazione sono ko.

E allora è come se i 43 morti del Morandi aumentassero ogni giorno, con la lista che comprende le vittime cadute su percorsi obbligati, limitati, intasati da decine di migliaia di autisti esasperati.

Ed è come se avere ricostruito il ponte crollato in neppure un anno di lavoro, con un cosidetto “miracolo del modello Genova”, non fosse neppure servito.

Quel ponte ora è in piedi, occupato da code continue e il caos intorno è come quando la sua interruzione aveva praticamente spezzato non solo la Liguria, ma le connessione nell’intera area nord Occidentale e nelle grandi vie di comunicazione europee. Intanto in città si piangono i morti che si aggiungono a quei 43 che ricordi ogni volta che percorri quel ponte e idealmente passi sopra a quei duecento metri di vuoto che si era aperto improvvisamente sotto le ruote degli sventurati. Che qualcuno salvi la Liguria. 
 
 
 

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