Mutande, happy hour… i rimborsi elettorali, il fango ligure

di Franco Manzitti
Pubblicato il 30 Aprile 2014 - 12:30 OLTRE 6 MESI FA
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Maruska Piredda

GENOVA – In principio c’erano state le mutande magari di pizzo, magari un sexy perizoma della bella Maruska Piredda, consigliera dell’Idv nel consiglio regionale ligure, dove era stata paracadutata a scatola chiusa nel listino blindato dal suo mentore (e non diciamo oltre qualificandolo…) Antonio Di Pietro, cui il leder Burlando all’epoca non poteva certo dire no. Poi, come in una cascata, è arrivato il resto di quello che i consiglieri regionali della Liguria si sono pagati con i soldi pubblici, lautamete offerti sotto la voce “esborsi per spese di rappresentanza”.

Decine e decine di migliaia di euro da aggiungere al modico prezzo-mutanda della bella Maruska, già leader delle hostess ai tempi della prima rivolta Alitalia, premiata per il suo impegno sindacale e “paracadutata”_ è proprio il termine giusto_ in Liguria, a Genova, arrivando dove commise la gaffe storica di dichiarare che di questa città aveva una buona conoscenza e in particolare come non poteva conoscerne l’aeroporto, sul quale quante volte aveva preso terra? Prego allacciate le cinture di sicurezza che stiamo atterrando …….

Solo che Maruska Piredda, all’uopo intervistata, aveva dichiarato che l’aereostazione di Genova si chiama Marco Polo, platealmente equivocando con quello di Venezia. A Genova, cara Maruska, si atterra al “Cristoforo Colombo.

Quisquiglie pinzilacchere, direbbe Totò, anche quelle della modicissima spesa dei suoi slip, 3 euro rispetto alle decine e decine di migliaia, se non centinaia di migliaia di euro “bruciati” dai suoi illustri colleghi consiglieri. Ma tutto partì da lì, due anni fa’, da quello slip assassino……

La valanga non si è mai fermata e i controlli della Corte dei conti a quasi due anni di distanza stanno rovesciando sui consiglieri e sui gruppi politici il fango inarrestabile di altre spese spacciate per rimborsi e invece volgari, anche minimi, ma sempre offensivi “furti” della casta ligure alla collettività. Ecco le ultime di una litania un po’ indecente.

Un illustre personaggio, Michele Boffa del Pd, che oggi presiede il consiglio regionale, perchè il suo predecessore Rosario Monteleone dell’Udc ha dovuto dimettersi, travoltoanch’esso dagli esborsi, si è fatto pagare con 700 euro un premio di laurea conferito a chissà chi.

Il dettaglio delle spese pazze, terza ondata, dopo quella iniziale della Procura della Repubblica e quella seguente della Corte dei Conti, abbraccia tutto quello che una volta si sarebbe definito l’arco costituzionale e picchia pesantemente sopratutto sulla ex Pdl, alla quale i magistrati contabili contestano spese irregolari per almemo 160 mila euro, sparpagliati sotto le voci più incredibili e facilmente riconducibili in prevalenza alla ristorazione: una pioggia di pranzi, cene, spuntini che accomunano i consiglieri e “spolverano” anche le nuove tendenze mutuate dalla società civile: ci sono quasi mille euro di happy hour al bar.

Che bisogna pubblico avranno i consiglieri, in questo caso dell’Idv, di farsi l’aperitivo a spese nostre?

Quelle che la Corte dei Conti dichiara spese non ammissibili sono state bruciate anche da partiti che avrebbero fatto della questione morale e della lotta a “Roma ladrona” una bandiera storica. Che dire del leghista Francesco Bruzzone, leader dei cacciatori liguri, oggi candidato alle Europee nel Nord Ovest, che si è fatto rimborsare 8 mila euro di viaggi, come se le trasferte dei consiglieri non fossero già liquidabili sotto altre voci di rimborso. E l’integerrimo Giacomo Conti di Sel, quel che si dice un politico tutto d’un pezzo, duro e puro, che si è comprato con i soldi pubblici prima un ipod nano e poi un iPad per un migliaio di euro.

Pensare che sia il Conti che il Bruzzone erano, all’epoca di queste spese, controllori incaricati di questo sottile, ammazza quanto era sottile, lavoro di supervisori delle spese con i soldi pubblici. Controllore, controllato e l’inghippo è subito trovato.

La fantasia spendareccia non ha limiti di partito, gruppo e singolo sprecone: l’ex Idv si spara 650 euro per un party di fine anno alla pizzeria Parador, l’ex Pdl Marco Melgrati, capogruppo di Forza Italia, ex sindaco di Alassio tra i più burbanzosi, “scialaqua” la bellezza di 30 euro in francobolli, non resistendo alla tentazione di metterli in nota spese. Un esponente anonimo della lista Biasotti, formazione civica di centro destra spende a Pordenone 275 euro per un portabiglietti da visita con chiusura a bottone.

Chissà quale emergenza era esplosa a Pordenone perchè il consigliere sentisse l’urgenza di quell’acquisto?

E’ chiaro che per ogni spesa smascherata dalla magistratura contabile c’è subito la difesa del consigliere pescato con la mano nel portafoglio pubblico. Molti annunciano di avere già restituito, altri come il già citato Melgrati spiegano che le due fatture da 200 e 495 euro pagate per acquistare bottiglie di champagne si riferiscono a “confezioni mignon e poi versate a piccole aziende del territorio”. Come dire ancora grazie che abbiamo comprato lì per aiutare la piccola impresa locale e territoriale. E grazie che erano confezioni Mignon, mica ci spariamo i Magnum noi!!

Il leghista Bruzzone cerca di spiegare che gli otto mila euro di extraviaggi li ha spesi, oltre a quelli conteggiati nei rimborsi chilometrici regolarmente inquadrati nell’attività in Liguria, “perchè fare il consigliere regionale significa viaggiare anche ben al di là dei percorsi tradizionali.” Ma va?

E più generalmente lo stesso Melgrati, noto architetto e superscajolano doc tenta una difesa più generale, invocando la legge regionale che regola i rimborsi e li inquadra nelle necessità della rappresentanza.

Champagne, panettone e bottiglie di vino farebbero, dunque, parte del dovere di rappresentanza che il cittadino-consigliere sente battere nel suo petto.

Entriamo così nel nocciolo di un problema per il quale questo scandalo che accomuna tutte le regioni, che ha avuto esplosioni pirotecniche nel Lazio con la vicenda di Batmanm, che è proseguito in Piemonte con le mutande verdi del presidente decaduto Cota ed è rimbalzato a Milano con il Faraone Formigoni e le sue mille spese e e continua a espandersi anche in rivoli minimi ma oramai incessanti. Vedi questo caso della Liguria e la sua ultima ondata.

Il problema è proprio questo: i rivoli sono un’ondata che non si ferma e mette in discussione la casta regionale intera. Ed ha già decapitato più volte le istituzioni regionali. La Liguria, retta dal 2005 dalla giunta di centrosinistra di Claudio Burlando, campione del Pd, oggi convertito a Renzi in toto, ha già perso sulla scia dei rimborsi-scandalo due vice presidenti di giunta, la bella ex Idv, Marilyn Fusco, dimessasi anche per altre vicende giudiziarie e poi Nicola Scialfa, anche lui ex Idv, notissimo preside delle più note scuole superiori liguri, già di Rifondazione Comunista, responsabile nazionale di Di Pietro per la scuola.

Scialfa è agli arresti domiciliari, per avere usato decine di migliaia di euro di rimborsi pubblici, dal gennaio scorso, un record di detenzione casalinga che non ha precedenti e inchioda un personaggio entrato in politica da poco.

L’altra istituzione “caduta” è l’assemblea del Consiglio regionale, il cui presidente Rosario Monteleone, ex Rinnovamento Italiano, ex Margherita, oggi Udc, uomo politico baricentrico nel potere ligure (grazie al suo appoggio si insediò la giunta di centro sinistra di Burlando), dimessosi dal suo alto scranno per avere usato quei soldi pubblici a fini personali.

Nella hit parade degli sprechi targato 2012 e conteggiati ufficialmente dalla Corte dei Conti al primo posto c’è la Pdl con 160 mila e segue subito l’Idv con 74 mila, poi la Lega Nord con 32 mila euro dei quali, però, 30 mila sono stati restituiti, mentre il Pd, che pure ha 13 consiglieri, se la cava con 24 mila euro e non vede elencati tra i suoi “cattivi”, né il presidente Burlando, né l’attuale vice Claudio Montaldo, né l’assessore spezzino Renzo Guccinelli.

Si dirà che gli amministrtatori con più larga esperienza e curriculum hanno saputo barcamenarsi meglio nelle spire di una legge, modificata proprio nel 2012, e che deve avere indotto in forte tentazione molti degli altri consiglieri. Anche se il consigliere Ezio Capurro di una lista civica collegata a Burlando si è sparato 20 mila euro di rimborsi per cene e pranzi, difficilmente giustificabili con l’attività politica.

Nessuno dei consiglieri beccati nelle diverse ondate ammette lo spreco diretto, ma giustifica la spesa, rimanda a una non chiarezza della vecchia legge e si affanna, se può ancora a restituire, come ha fatto, per esempio il leghista Bruzzone.

Ma su tutti i coinvolti aleggia l’incubo del “sequestro conservativo”, che la magistratura contabile ha nelle sue mani per colpire i beni e i denari di chi è stato pescato. Si annuncia una sterminata battaglia legale con i singoli gruppi che cercano le difese, invocando la confusione delle norme e l’incertezza dei singoli casi, i confini labili tra attività politica-rappresentativa e vita privata.

Quello che non succede, mentre la magistratura penale ha già messo sotto inchiesta dodici consiglieri e altri diciassette stanno per finirci, mentre la Corte dei Conti continua a spulciare, mentre montagne di fascicoli con scontrini, ricevute, rendiconti con firme di controllori addomesticati passano dalla Corte stessa alla Procura di Genova, è che la politica della regione è in tutt’altre faccende affacendata,

A un anno esatto dalle prossime elezioni regionali, la campagna per il rinnovo di quel consiglio regionale delle mutande, degli happy hour, dello champagne mignon, delle cassette di vino pregiato, dei viaggi ovunque, dei fermacarte a bottone, delle cenette a lume di candela, degli ipod e degli ipad, perfino delle necriologie a pagamento del contribuente a piè di lista, va avanti come se niente fosse.

Lo scandalo è rimasto sepolto sotto un mare di scontrini, anche se ha fatto cadere un presidente di consiglio regionale, due vice presidenti della giunta e minato un’intera classe dirigente politica.

E allora: scurdammoce o’ passato, magari con un bel happy your. Con il conto a quel fesso che ha sempre pagato. Cioè il contribuente, che non annega nell’happy hour, ma nella crisi.