Renzo Piano, il genovese che diventa profeta in Patria

Renzo Piano, il genovese che diventa profeta in Patria
Renzo Piano (Foto LaPresse)

GENOVA – Salire da Renzo Piano, l’architetto che non ama farsi chiamare archistar, qualche anno fa secondo Forbes uno dei cento personaggi più noti al mondo, è come andare in Paradiso. Non è un paradosso, ma è la strada che percorri attraverso una piccola funicolare di plexigas, con una sedia da regista in mezzo, che ti tira su tra fasce di olivi e macchia meditterraena, all’estrema periferia di Genova, l’ultimo lembo della città a Oriente, sopra la delegazione ponentina della Vesima, e ti deposita su una stazione di arrivo che è il suo studio.

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Lui ti aspetta lì con la sua leggendaria barca bianca e qualche battuta ironica pronta alla stazione di arrivo e poi ti conduce in quello studio di architettura dove si mescolano tr5a collaboratori, stagisti, visitatori e assistenti, le razze del mondo, che scende a sbalzi per fasce dalle quali ammiri il mare ligure senza gli sconci urbanistici che potresti avvistare solo un po’ più in basso, in una prospettiva che solo lui ha evidentemente disegnato: mare, ulivi, barche a vela sullo sfondo, folate di profumo di basilico.

Oggi se ti capita questa fortuna di salire lassù, una ascesa che ha incantato tanti, anche l’ex presidente della Repubblica, Carlo Ciampi, assolutamente stregato, lui livornese di mare dalla scena, non potrai più salutarlo con i suoi nobili titoli professionali, architetto o magari, sfottendolo come faceva il suo grande amico e giornalista de “La Stampa”, oggi scomparso, Mario Fazio che lo interpellava, chiamandolo con evidente provocazione a rovescio “geometra”, né potrai dargli la mano, come fa la turba di ruffiani per lo più politici e pubblici amministratori, che molto condidential gli dicono: ciao Renzo….

Oggi Renzo Piano lo devi chiamare senatore, perchè Giorgio Napoletano lo ha nominato tale, in questo mazzo di prima scelta di grandi scienziati, artisti e professionisti e non sai come reagirà lui, che gira il mondo, disegna in tutto il mondo, rimbalza tra questo paradiso zeneise e il suo ufficio di Parigi, rue des Archives, un po’ prima del Beauburg, la pista di decollo della sua carriera, che oggi a 75 anni è ancora nel pieno della fioritura e che ai tempi che con Rogers progettò l’opera parigina,distruggendo i vecchi mercati de Les Halles, di anni ne aveva 37.

Come reagirà a pensare che il suo ombelico diventa anche quel palazzo Madama, sede del Senato, dove gli è stato assegnato, tra il Pantheon e piazza Navona, lo scranno che fu di Paolo Emilio Taviani, il leader politico più importante del Dopoguerra genovese, neanche troppo lontano da dove si siedevano gli altri genovesi che ebbero questo onore “eterno”, Carlo Bo il grande intellettuale, il critico letterario del Novecento e Eugenio Montale, il poeta…

Come cambierà la sua vita, il suo peregrinare dinoccolato tra un Continente e l’altro, da un aereo all’altro, sempre con la matita in mano e quel ritorno costante “in paradiso”, a rimirare un po’ di sbieco, con grandi onori ma anche con una certa distanza, la “sua” Genova, vista, appunto, di sbieco, perchè da lassù, da la Vesima, così appare, distesa verso Levante, quasi nascosta dallo sconcio, che tre o quattro generazioni di genovesi hanno fatto della sua costa dalla Lanterna, svettante nel cuore del porto vecchio, fino a questa periferia estrema, dove una volta arrivava il tram e ora vanno a tuffarsi nel mare più blù prevalentemente gli immigrati sudamericani che hanno riempito il Ponete ligure, quelle periferia oblunga e arrampicata sulle colline. Una periferia che proprio i grandi architetti come Renzo Piano hanno generalmente l’obiettivo di riscattare in qualche modo urbanisticamente: costruire sul costruito o abbattere e ricostruire? Il dilemma amletico ai tempi della nuova esplosione delle megalopoli…..

L’architetto, che ha costruito musei in Texas, areoporti in Giappone, cattedrali di legno nella Nuova Guinea, sedi di giornali a New York, scheggie nel nuovo sky line di Londra, grattacieli ovunque e che ha rifatto il porto antico di Genova per il 1992, è stato profeta in patria e oggi questa patria genovese, cosi abituata all’understatment e al mugugno e a pudore da invidia o da troppo amore per i suoi figli migliori, conquista qualcosa con il senatore Renzo Piano?

Difficile rispondere se Piano sia stato profeta in patria: forse sì perchè ha realizzato la più grande ricostruzione genovese del Dopoguerra, recuperando quel porto antico per realizzare l’Expò del 1992, con una operazione che ha aperto ai genovesi la prospettiva del loro porto, del loro mare, al quale, senza essere volgari, fino a quel tempo avevano dato il culo, nel senso dell’orientamento, perchè le banchine erano chiuse da muraglie fisiche, doganali, strutturali che celavano molo, silos, banchine e di cui tu percepivi l’esistenza solo attraverso i rumori che provenivano di là: sibili di cascate di grano nelle bocche di quei silos granari, cozzi di acciaio, sirene, richiami e poi quel fiume di tute blu che uscivano dagli stabilimenti delle Riparazioni Navali, insediati dietro quel muro, che era, appunto il vero il muro di Genova. E giravi la schiena.

Abbatterlo, quel muro, riscattare le vecchie costruzioni, i magazzini del Cotone, le palazzine, la Darsena, piazzare il Bigo, ideare l’ascensore panoramico, piazzare l’Acquario delle meraviglie e tutto il resto, non è bastato a proclamare allora Piano profeta in patria.

Il meccanismo storico delle invidie, la imperfezione di quell’opera colossale, costruita con un sano principio genovese, riassumibile nel diktat del sindaco dell’epoca, il socialista lombardiano Fulvio Cerofolini, che disse testuale: “Mea Piano, chi nu’ se straggia ninte…..”(Attenzione Piano, qui non si spreca niente), vale a dire costruisci come vuoi, ma fallo su quello che c’è, non abbattere, non modificare gli equilibri, rispetta questi moli, queste banchine, questi spazi che sono Genova e la sua storia…. Non addebitabile a lui questa imperfezione, ma agli esecutori materiali dell’operazione Porto Antico, che ha rischiato spesso di diventare un suk disordinato e non la piazza mediterranea sognata dal suo autore. Tutto ciò gli ha precluso per un po’ la smentita della profezia a rovescia: non era del tutto il profeta in patria, mentre stava conquistando il mondo.

E ancor più la consacrazione avrebbe potuto realizzarsi nei lunghi anni dopo quel fatidico 1992, quando Piano diventava veramente l’archistar che non vuole essere definita così, uno dei cento più noti al mondo, e Genova gli faceva proposte che lui non poteva rifiutare e che poi la città ingrata non metabolizzava come avrebbe voluto.

A lui, innamorato del porto-emporio, che aveva conosciuto da bambino, da ragazzo, all’inizio del terzo Millennio proposero di realizzare il Water Front, cioè il ridisegno di tutta la costa genovese, risistemando ciò che l’esplosione delle banchine, la somma di esse ai grandi stabilimenti siderurgici dell’Italsider, all’aereoporto Cristoforo Colombo, costruito in mare, al porto satellite di Voltri, alla Fiera del Mare e a tutto il resto di una linea lunga più di trentacinque chilometri, aveva ammucchiato confusamente, non funzionalmente allo sviluppodel porto e della città.

Piano disegnò, studiò, misurò, consultando esperti, tecnici e mettendo la sua matita magica al servizio di un progetto, che si sarebbe potuto realizzare in una dozzina di anni, attirare grandi capitali dal mondo, cambiare il destino della città, far lavorare un paio di generazioni di genovesi e non.

Ebbene quando lo presentò ufficialmente, sotto il tendone del Porto Antico, da lui disegnato, di fronte a una folla di maggiorenti locali, descrivendolo su un grande schermo e indicando le linee guida con una lunga canna luminosa, sembrava il capitano Achab di Moby Dich, che andava a caccia della balena assassina. E non valeva questa similitudine solo perchè sotto quella stessa tenda il mitico Gasmann Vittorio aveva recitato quella parte, nell’inaugurazione delle suddette Colombiane. Ma perchè la balena avrebbe vinto e Piano non sarebbe stato trascinato a fondo, ma il suo progetto sì, sarebbe finito a fondo.

Troppo conservatorismo, troppe incrostazioni di potere, troppi interessi costituiti, troppi poteri forti, avrebbero spostato quella canna di Piano-Achab. Quel giorno indimenticabile i volti di imprenditori, amministratori pubblici e privati, banchieri, piccoli e grandi affaristi della città e dintorni apparivano, mentre piano affabulava, come i famosi ritratti di Van Dick, appena andati in mostra a Palazzo Ducale: sfingi imperturbabili, maschere perfette del perbenismo finto, del calcolo per la propria cassaforte e non per il bene collettivo, una recita quasi pittorica di quel che la Superba nei secoli è diventata: la città inamovibile, dove ogni decisione è impossibile.

Quel disegno del Water front finì nella bacheca del Muso del Mare, costruito nella darsena da un collega spagnolo di Piano, l’architetto archistar Luis Consuegra, nel silenzio della città, che non voleva rompere i suoi equilibri.

Non miglior sorte capitò al successivo progetto, che fu chiesto a Piano per disegnare il quartiere hig tech di Erzelli, sulla collina genovese, che sta sopra l’aereoporto e dove sta nascendo, forse, la ipotetica città del futuro. Lui con il suo entusiasmo di sempre, di genovese nel mondo e con la passione in più per quel luogo, nel quale suo padre aveva un’azienda e da dove, a suo avviso, si può ammirare “il più bel cielo di Genova”, disegnò, concepì, tracciò, ma alla fine anche quell’idea non andò a conclusione.

Piano ama Genova e Genova, sempre più sofferente, malgrado tutto, dietro quei nasi da sfingi e quelle memorie corte e quell’invidia strisciante per chi ha succeso, anche troppo. E Genova ha continuato a bussare al suo Paradiso e a chiedere. E così il neo senatore di oggi ha partecipato attivamente al disegno della città, che la sindaco Marta Vincenzi, gli chiese di contribuire a tracciare, nominandolo in una troika di superconsulenti tra i quali anche il creatore Tv, Carlo Freccero.

E oggi che quasi tutte le illusioni si sono perse, Piano ha accettato di tornare a studiare il water front, sepolto nel Museo, diventato mlto più necessario di tredici anni fa per lo sconquasso delle attività genovesi.

Sono tornati da lui, senza nasi finti, ma forse con qualche barba per nascondere un po’ di vergogna, gli illusionisti amministratori di oggi, in testa il governatore della Regione Claudio Burlando, unico leader rimasto sulla scena, sensibile al fatto che bisogna in qualche modo prospettare un qualche orizzonte di sviluppo per una città così stoppata e in regressione. E Piano, affacciandosi dal suo Paradiso di Vesima, si è dimostrato ancora generoso.

Nessuno si aspettava che diventasse così rapidamente senatore a vita e che oggi il suo ruolo non è solo quello di “grande matita” del futuro genovese, ma anche di un personaggio che può sedersi in quel Parlamento tanto discusso e magari far sentire la sua voce sui tanti temi che affliggono l’ex Superba e non solo. E’ o non è uno dei magnifici cento conosciuti al mondo?

Forse oggi Piano diventa veramente profeta in patria, ma la porta di questo Paradiso non gliela hanno aperta i genovesi di ieri e di oggi, ma il presidente Giorgio Napoletano, di nome e di fatto.

 

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