L’oro di Napoli

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 19 Dicembre 2009 - 12:16| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Antonio Bassolino

In questi giorni, segnati da un caos ancor più feroce del solito, chi si recasse a Napoli potrebbe ammirare la più straordinaria mostra sul barocco napoletano che sia mai stata allestita, in luoghi prestigiosi e ricchi di fascino. Un’esperienza unica. Il problema è arrivarci. Aggirare la muraglia di disordine e di violenza urbana che impedisce al visitatore di potersi disporre con animo lieve al godimento di un evento davvero mirabile, è comunque impresa ardua se non impossibile.

Così come godersi, senza temere imprevisti talvolta drammatici, la “movida” che va in scena tutte le notti alla Riviera di Chiaia? Ed in che modo sbizzarrirsi, prigionieri tra le difficoltà logistiche, tra le innumerevoli botteghe artigiane alla ricerca di capi d’eccellenza predisposti ad acquisti che altrove sarebbero impossibili? Malauguratamente non c’è risposta. Al punto che i giornali di tutto il mondo, esaurita l’emergenza immondizia, che gli ha fatto scrivere reportage che ci fanno ancora male per quanto crudamente veritieri, neppure si curano più di sapere se Napoli esiste ancora. Napoli esiste ed è terribilmente infelice. Terribilmente sola. Perfino disperata davanti all’incuria di una classe dirigente che neppure nel Terzo Mondo resterebbero al suo posto dopo i disastri di cui si è resa responsabile.

Nonostante questa banale constatazione, per quanto possa sembrare bizzaro, sembra che di Napoli e della Campania anche in Italia, oltre che all’estero, ci si sia dimenticati. Le emergenze di quella terra splendida e martoriata non sono più sulle prime pagine e difficilmente se ne trovano tracce nelle cronache interne, manco a dirlo documentanti episodi di spicciola criminalità.

Forse perché distratti da escort, transessuali, mafiosi pentiti ed irriducibili, ruffiani e giustizialisti in servizio permanente effettivo, s’è perso di vista il regno di Bassolino che soltanto fino ad un anno fa galleggiava imponente tra i miasmi della palude italica. Che cosa è successo? Come è potuto accadere che l’immondezzaio per eccellenza non interessi più nessuno, che non ci si interroghi ancora sulle piaghe della pessima gestione pubblica, della criminalità purtroppo ancora dilagante, della disoccupazione crescente in quella terra che sembra sottratta, se non perduta per sempre, al controllo dello Stato? Mistero.

Chi ci vive ed è costretto a sopportare giorno dopo giorno gli effetti di una disastrosa gestione politica che in circa quindici anni ha spogliato Napoli della sua residua nobiltà, non sa farsene una ragione di tanta disattenzione da parte dei media e delle autorità nazionali, governo e parlamento primo luogo. Ma ce l’hanno soprattutto con coloro che li hanno amministrati angariandoli quotidianamente e blandendoli con promesse mai mantenute. I napoletani non ignorano, infatti, i responsabili delle loro piaghe e vivono con amarezza la tracotanza di un potere che esibisce la sua lontananza dalla gente asserragliato a difesa dei suoi interessi.

Ve lo ricordate il Bassolino trionfante, sindaco nell’autunno 1993, che annunciò il “nuovo rinascimento napoletano”? Abbiamo visto com’è finita. Con il cardinale Sepe che sul sagrato della Chiesa del Gesù, il giorno dell’Immacolata, lo scorso 8 dicembre, è stato costretto all’ennesima intemerata contro il potere e la criminalità, gli indifferenti ed i profittatori. Intorno, a capo chino, la solita nomenclatura partenopea pronta a mettersi sotto i piedi le parole dell’arcivescovo. Come ha fatto sempre, con la solita ipocrisia. E del “rinascimento” sul selciato sporco della città sono rimaste le ombre inquietanti del malaffare.

D’accordo, a Napoli non si vedono più le montagne di immondizia per le strade. Ma non ci si può voltare dall’altra parte di fronte al degrado urbano della città e di numerose aree della regione; all’inquinamento che rende inutilizzabili centinaia di migliaia di ettari di terreno tra i più fertili della Penisola che nascondono residui tossici provenienti chissà da dove ed occultati lì dalla camorra; al clientelismo, alla corruzione ed alla delinquenza che dominano in ogni angolo della Campania e fanno scappare i pochi temerari che vorrebbero investire senza essere costretti a pagare pizzi ai clan malavitosi o esosi interessi alle banche che prestano denaro con il contagocce e se lo fanno restituire a tassi indecenti.

Se è vero, come di recente ha detto davanti alla Commissione parlamentare Antimafia lo stesso Bassolino, che la crisi economica nella quale crescono l’illegalità ed il sommerso “è il brodo di coltura in cui prospera la criminalità organizzata”, c’è poco da stare allegri. Ed il “governatore” dovrebbe avere almeno ammettere che lui stesso e la sua corte poco o nulla hanno fatto in tre lustri perché le cose cambiassero.

I reati, nel Napoletano e nel Casertano sono cresciuti del 61,5% nell’ultimo anno. L’estorsione e l’usura sono diventati “sport” molto praticati in tutte e cinque le province campane, ma soprattutto nell’Agro aversano, nei comuni vesuviani, nell’Agro nocerino-sarnese, nella Piana del Sele, in alcune zone periferiche della provincia di Avellino. In questi luoghi, infestati tra l’altro dalla criminalità minorile, si registrano i più elevati tassi di omicidi e la legge della camorra ha soppiantato la legge dello Stato.

La disoccupazione giovanile in Campania si avvicina al trenta per cento ed in questo bacino, per lo più incolto e rozzo, la camorra recluta manovalanza a basso costo spesso con il tacito consenso dei familiari dei ragazzi sulla cui disperazione lucrano i banditi che trafugano l’anima a gente incapace di reagire.

Soldi facili ed omertà. Su questi due pilastri si reggono le organizzazioni criminali le quali, con la complicità di numerosi amministratori, non soltanto gestiscono discariche ed attività produttive manifestamente illegali, ma sono capaci di infilarsi nella elargizione dei finanziamenti comunitari che dovrebbero contribuire allo sviluppo delle aree più disagiate della Campania. Ha un bel dire Bassolino, come ha fatto davanti all’Antimafia, che “il rischio sempre più grande è costituito dall’allarme disoccupazione e dall’aumento dei ricorsi alla cassa integrazione, con entrate per le famiglie di non più di seicento euro al mese. Da qui la contiguità tra clan e piccola criminalità con il relativo controllo sociale”. Ineccepibile. Ma chi ha governato Napoli e la Campania dagli inizi degli anni Novanta ad oggi? E come mai la denuncia arriva soltanto oggi?

Troppo facili le denunce postume. Le prese di distanza dal disagio provocato dalla cattiva politica non serve a niente e suona offensivo per le popolazioni che subiscono quotidianamente i danni derivanti dall’incuria. Se si scavasse a fondo sull’utilizzo delle risorse pubbliche si scoprirebbe un buco nero che nessuno è pare disposto a scandagliare. Per dirne una: i finanziamenti previsti dalla legge 488 per le imprese dovevano costituire degli incentivi a sostegno dello sviluppo dell’imprenditoria, invece sono serviti a ripianare i debiti delle aziende a discapito dei lavoratori. Chi paga il conto?

Napoli non si è arresa, come si potrebbe intendere. Vive malinconicamente i suoi giorni senza speranza. Non ha più voglia di combattere contro i mulini a vento. La sua borghesia si è ritirata e sono comprensibili i motivi. Come fa un imprenditore che denuncia i propri estorsori e se li vede poi inseriti nella “lista di protezione” perché collaboratori di giustizia, cioè “pentiti”, ad avere fiducia dello Stato? Paradossale, ma tragicamente vero. Chi ha ucciso, estorto, rapinato trova poi tutele inimmaginabili altrove e si guadagna così l’impunità, spargendo non infrequentemente menzogne al fine di creare confusione, incertezza, inquinare quel poco che ancora resiste nello spirito pubblico della società campana.

Napoli è sola. Ed in questi giorni neppure i pastorelli dei presepi di San Gregorio Armeno riescono ad allietare un paesaggio che più devastato non lo si potrebbe immaginare. Speriamo che con il nuovo anno qualcuno torni a ricordare che Napoli c’è…