In house providing: i piedi della politica nella P. A. Il caso Lazio

di Marcello Degni
Pubblicato il 18 Ottobre 2011 - 11:38| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Un primo rimedio per contrastare questa deriva consiste in una maggiore delimitazione degli ambiti di impresa attualmente svolti dalle società in house: che sia circoscritta a quelle attività per le quali è possibile il confronto, in termini di economicità, con uguali attività esistenti sul mercato (o con analoghe strutture diffuse in altre regioni). Le altre attività, è questo un primo punto di conclusione, vanno ricondotte nell’ambito della pubblica amministrazione, utilizzando, quando è opportuno, lo strumento più agile dell’Agenzia.

La disciplina delle forme esterne alla amministrazione regionale trova negli statuti una importante forma di regolamentazione. Dalla comparazione delle norme delle regioni ordinarie si ricavano interessanti analogie e differenze, utili per regolare il fenomeno. Un primo elemento di convergenza (che in realtà dà attuazione ad un precetto costituzionale) riguarda il ricorso alla legge per l’istituzione degli enti e per autorizzare la regione a promuovere la costituzione di società di diritto privato, ovvero a parteciparle. Per questo ultimo profilo, alcuni statuti parlano di norme generali e di legge specifica per la partecipazione ad associazioni, fondazioni o società, lasciando intravvedere l’ipotesi di una legge quadro e di specifiche leggi per l’istituzione di una partecipazione. Sono principi importanti, non sempre applicati nella prassi. La legge cornice può delineare uno schema omogeneo di governance esterna ed interna e la legge specifica garantisce una maggiore ponderazione dell’assemblea regionale, evitando che una società venga inserita nell’ordinamento regionale attraverso un comma o un articolo di un provvedimento finanziario (sia Sviluppo Lazio che Unionfidi sono state istituite con la legge di bilancio, rispettivamente del 1999 e del 1997).

Nel prevedere l’istituzione di enti regionali alcuni statuti pongono limiti di contenuto, relativi alle finalità per cui è autorizzata l’istituzione dell’ente, mentre altri contemplano l’ipotesi di istituire nuovi enti o società o partecipare a quelle già costituite quando l’affidamento delle funzioni amministrative agli enti locali si riveli non praticabile (sussidiarietà). La declinazione esplicita degli ambiti settoriali a livello statutario potrebbe riuscire nell’intento di circoscrivere la proliferazione delle strutture impedendo alla politica di considerare ogni attività “strettamente necessaria per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”. Lo stesso obiettivo si potrebbe conseguire attraverso la previsione di una maggioranza qualificata per l’approvazione delle leggi istitutive di nuovi enti o di autorizzazione ad assumere partecipazioni in società private, presente in alcuni statuti, che potrebbe rappresentare un vincolo stringente.

Non sono molti gli statuti regionali che introducono una distinzione tipologica tra i diversi enti regionali: oltre al Lazio, tale scelta è effettuata dagli statuti del Veneto, dell’Abruzzo e del Molise. In tutti i casi, la tipizzazione si centra sulla distinzione tra enti economici (aziende), enti non economici e agenzie, considerate una vera e propria articolazione esterna dell’amministrazione regionale. In pratica si affianca alle direzioni regionali ordinarie questa diversa struttura, quando un grumo di funzioni assume una specificità tale, a parere della giunta regionale, da giustificare una gestione separata. La distinzione rispetto alla amministrazione è in questo caso solo funzionale. Il dirigente e i dipendenti sono regionali, le procedure amministrative sono quelle della amministrazione, non esiste autonomia di bilancio. Lo strumento, che evita anche i problemi che si creano con il personale dipendente dagli enti economici, il cui rapporto di lavoro è regolato dal diritto comune, ed al quale pertanto si applica il contratto collettivo di categoria (differente da ente ad ente) va, a nostro avviso, valorizzato. Nel processo di internalizzazione, che deve essere ancor più netto rispetto alle timide realizzazioni degli ultimi anni, l’istituzione di Agenzie regionali può essere uno strumento molto utile, attraverso il quale spostare su un sentiero di maggiore efficienza anche attività attualmente gestite direttamente dall’amministrazione (ad esempio l’accertamento e la riscossione delle entrate o la gestione del sistema dei pagamenti sanitari).