ROMA – Il “piangi e fotti” dei Comuni, delle Regioni e delle Province. L’ultimo calcolo aggiornato conteggia in Italia 5.512 società “partecipate” o possedute dai governi locali e di territorio. Danno lavoro e stipendio a 300mila persone e contano 40mila tra consiglieri di amministrazione, presidenti, amministratori delegati… Un generale ogni otto soldati scarsi, otto generali per ogni società. E i “generali” sono tutti o quasi truppa di complemento della politica locale: non eletti, “trombati”, risarciti con poltrona, uomini e donne “di fiducia”. Queste 5.512 società valgono 102 miliardi di euro, più o meno il costo del Servizio Sanitario Nazionale, miliardi che i lacrimanti Comuni, Regioni e Province si tengono stretti e raccontano siano non “tagliabili”, pena niente meno che le “condizioni di vita dei cittadini”. Tutto sta ad intendersi quali “cittadini”. Il 36 per cento di queste società è stabilmente in perdita, perdita finanziata dal denaro pubblico: circa duemila società in perdita. Gestiscono bus, metro, energia, gas, cultura, sport, ricreazione, agricoltura e acqua (queste ultime rese intoccabili dal referendum). Sono almeno 36 miliardi “in perdita” ma Comuni, Regioni e Province non vogliono perderli.
Ogni tanto, di rado, qualcuno dice la verità. Matteo Renzi, sindaco di Firenze: “Mi tagliano cinquanta milioni di euro, ma mi fanno aumentare l’addizionale Irpef dallo 0,3 allo 0,8 per cento e così recupero 35 milioni”. Il pianto di Comuni, Regioni e Province sarà asciugato dalle nuove tasse locali, i governi di territorio sono già stati dotati di fazzoletto. E il “fotti” viene nascosto e difeso con i denti, gridano alla “macelleria sociale”, pensano ai quarantamila generali del loro esercito.