Caro Moretti, ecco i tuoi treni senza verità

Martedì 22 dicembre, stazione Termini: la cronaca di una resa, di un’abdicazione delle Ferrovie Le bugie sui ritardi reali, l’incredibile condizione in cui si fanno partire i treni, e anche le molte e reali ragioni dell’amministratore delegato si perdono nel deficit di responsabilità e sincerità
Stazione Termini

Egregio dottor Moretti Mauro, apprezzo molto e non da oggi la sua opera di “pedagogia sociale” nei confronti di alcuni brutti vizi della pubblica opinione e dei suoi megafoni spacciati per virtù. Lo dico sul serio, non è un “incipit” ironico per poi planare in un bombardamento in picchiata e a tappeto sulla incauta impopolarità dei suoi inviti a portarsi in treno “panini, acqua e coperte”. Lei, dottor Moretti, spesso dice la verità che gli altri negano e camuffano. Lei ha ragione, ragione da vendere anche se nessuno più acquista la merce “ragione”, quando spiega a muso anche un po’ brutto e duro che un paese civile il trasporto ferroviario se lo vuole se lo paga. Ha ragionr quando dice che il costo dei biglietti è inferiore al resto d’Europa, ha ragione quando dice che le tratte ferroviarie che non si ripagano con gli introiti si devono pagare con il denaro pubblico, del fisco, delle Regioni. Tutta “gente” avara nei confronti delle Ferrovie. Avara e pretenziosa.

Noi italiani abbiamo al riguardo una sola attenuante che non è una scusante: siamo stati abituati per decenni ad una azienda ferroviaria che lavorava in perdita. Perdite di gestione fino alla bancarotta. Sono dunque istintivamente e razionalmente dalla sua parte: contro il piagnisteo di istituzioni e viaggiatori che reclamano un servizio trasporti europeo pretendendo lo paghi “qualcun altro”. Lei, dottor Moretti, fa appunto “pedagogia sociale”. Anche se non è il suo mestiere, lei è come un professore a scuola che desta scandalo perchè sostiene che per essere promossi bisogna studiare. Del suo mestiere di amministratore dell’azienda ferroviaria non so giudicare, ma per questa pedagogia sociale, tanto mal sopportata quanto sacrosanta, le sono grato. Alla faccia di tutti i Codacons di questo paese, più che cattivi maestri, cattivi supplenti.

E la seguo, dottor Moretti, anche quando dice la verità: i treni non si sono “ghiacciati” soltanto in Italia. Anzi nel resto d’Europa è andata peggio. Un’ovvietà, ma un’ovvietà rifiutata e respinta perchè il senso comune, nemico giurato del buon senso, vuole ed esige che quando nevica ci sia sempre un “governo” oppure “un’azienda ladra”.

Però, dottor Moretti, lei dovrebbe rispettare se stesso, la sua pedagogia, il suo essere affezionato alla verità. E lei, mi spiace, tutta la verità non la dice. Martedì 22 dicembre ho provato a partire con uno dei suoi, dei nostri treni. Una “tratta” breve e neanche difficile: Roma-Napoli. Tav ovviamente, una Tav sulla quale non ha nevicato. Il mio treno doveva partire alle 18,00. E alla stazione Termini di Roma arrivo 15 minuti prima della partenza, posto prenotato ovviamente. Vedo un treno che sta partendo, penso sia il mio. No, è quello delle 16,00. Parte con due ore di ritardo. Come tutti i treni, parlo ovviamente del Frecciarossa e via frecciando. Dei treni minori non c’è traccia in tabellone e sui binari.

Provo a prenderlo quel treno delle 16,00 che parte alle 18,00 inoltrate. un treno veloce, moderno… Non si riesce neanche a salire: la gente è ammassata nei corridoi, in piedi, fino alla piazzola, alle porte, fino ai gradini. I colori dei treni sono quelli della pubblicità, ma la scena reale è in bianco e nero: una scena dei film del dopoguerra. Uno dei suoi dipendenti sul marciapiede mi dice: «Vuol salire? Faccia. Lì sopra sono in mille, anzi di più. Dove ce ne stanno 500». Lui si è arreso, anzi ha abdicato. Non sa e non vuole sapere se chi è seduto ha pagato, se chi ha pagato resisterà in piedi, se il treno delle 18,00 partità più o meno alle 20,00 o alle 21,00. Come lui, dottor Moretti, tutti i suoi uomini e donne hanno abdicato: non governano e non gestiscono l’emergenza e nemmeno un treno che è uno. La legge dell’arrangiarsi al peggio che si può coincide con il consiglio che i suoi uomini e donne danno. Non siamo utenti e neanche utenti sfortunati, stasera per le sue Ferrovie siamo una calamità fastidiosa da cui prendere le distanze. Ecco come i suoi uomini e donne interpretano la fornitura del servizio: lamentarsi insieme a noi e più di noi se qualcuno si lamenta, anzi domanda troppo.

Quel biglietto che ho in mano, che a migliaia abbiamo in mano, non vale nulla, è carta straccia. Non vale la possibilità materiale, fisica, di salire su un treno. Meno che mai vale un rimborso: provare ad ottenerlo è solo auto infliggersi inutile umiliazione.

Rinuncio a partire e a chiedere rimborso, me lo posso permettere. Rinuncio a metterci cinque ore per andare da Roma a Napoli, 180 chilometri. E osservo che la sua pedagogia sociale, egregio dottor Moretti, è monca. Monca come una lezione che amputa una parte della verità. Dovevate dire la verità, la doveva dire lei in tv, tutta. Dovevate dire: si viaggia con tre ore di ritardo, ovunque. Non è colpa nostra ma è così. Dovevate assumervi la responsabilità di impedire l’assalto ai vagoni e il viaggio in “stile indiano” con la gente aggrappata alle porte. Dovevate avere il coraggio della verità e della responsabilità. Non lo fate, dite solo la parte di verità che vi esonera. Non dirigete e governate nulla, subite, svicolate, abdicate. Peccato, vi comportate come un Codacons qualsiasi.

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