Lavoro: la minor riforma possibile. I Pit Bull delle Parti Sociali

di Lucio Fero
Pubblicato il 19 Marzo 2012 - 14:04 OLTRE 6 MESI FA

Elsa Fornero (foto LaPresse)

ROMA – “Esaurita la spinta propulsiva…”, “Pericolo cessato allarme…”, “Passato lo spread, ingabbiato lo Monti”: sono tutti titoli che vi abbiamo già offerto, titoli che tentavano di riassumere la situazione e di leggere la direzione dei fatti. Titoli che andavano un po’ tutti contro corrente, non in termine di schieramento, pro o contro qualcosa o qualcuno. Ma contro corrente in termini di lettura politica e sociale di quel che il paese davvero è e davvero può e vuole. Moltissimi, quasi tutti, si sono moltissimo sorpresi del “colpo di scena” di un accordo generale sul mercato del lavoro che al venerdì c’era e al week-end spariva. Noi, nel nostro piccolissimo, come gli altri non sappiamo come andrà a finire. Però ci siamo sorpresi un po’ meno. E adesso ve ne offriamo un altro di titolo che non è scritto nel marmo ma nelle cose, nei “geni” storicamente formatisi del paese: “La riforma minore possibile: così la vogliono i Pit Bull delle parti sociali“.

Pit Bull, perché a questo ruolo si sono addestrati e sono stati allevati per decenni, ormai più di un paio, i legittimi rappresentanti di legittimi interessi. Addestrati e allevati a difendere il “territorio”. Addestrati e allevati a non mollare l’osso, anche se l’osso è vecchio e consunto, anche se l’osso rischia di strozzare alla lunga chi lo conserva a denti serrati. Pit Bull che non sono “cattivi” per natura e vocazione ma che cani “pastore” non sono e non riescono ad essere perché in fondo nessuno nei rispettivi allevamenti li vuole altro che Pit Bull da ringhio e, se occorre, da morso. Prendete “Rete Imprese”, l’organizzazione di categoria delle piccole imprese e delle imprese dei servizi. Sono fortemente contrari ad una riforma del lavoro che costi ai loro associati il prezzo di contribuire al finanziamento dell’assicurazione sociale per chi non ha o ha perso il lavoro. In un comunicato quasi ufficiale Rete Imprese ha annunciato che “se devono pagare anche questo”, allora “chiudono”. Tutti “chiudono” in questo paese se devono pagare qualcosa che prima non pagavano: è il testo ufficiale del primo comandamento del lamento sociale, perfino i salesiani quando è stato il loro turno non si sono sottratti: “Se le nostre scuole devono pagare l’Imu, allora chiudiamo…”.

Dunque le piccole imprese e le imprese dei servizi che dichiarano intollerabile, anzi esiziale l’aumento dei contributi da versare per i loro dipendenti niente meno che dallo 0,7 per cento all’1,4 per cento scalino dopo scalino nei prossimi cinque anni. Avranno fatto i loro conti e saranno conti professionali. Agli occhi profani uno 0,7 per cento in cinque anni di aumento, se davvero determina “chiusura”, chiude centinaia di migliaia di aziende di fatto già sul lastrico. Davvero sono già sul lastrico tutte queste aziende, davvero un migliaio di euro a dipendente in cinque anni le “chiude”? Mettiamo sia vero, mettiamo non conti nulla che in tutta Europa l’assicurazione sociale contro la disoccupazione sia a carico di aziende e lavoratori. Son tutti matti o ricchi Babbo Natale fuori dai nostri confini? Comunque, poco o tanto che sia quello 0,7 per cento in più, a “Rete Imprese” non appare un investimento ma una spesa a perdere. Non un investimento per avere più occupazione e quindi più consumi e quindi più clienti per i loro prodotti. Nella cultura di chi difende investimento non esiste, esiste solo aggravio di spesa: al Pit Bull è difficile insegnare che deve lasciar passare chi porta la pizza a domicilio.

E Confindustria una riforma del lavoro la vuole e ha ottimi argomenti per chiederla. Ma Confindustria la vuole a costo zero per le aziende. Anche l’impresa media o grande non vede ragione o utilità di un investimento, vede solo il rischio di un esborso, esborso da evitare. La riformista Confindustria sui costi dell’ammortizzatore sociale si fa anch’essa Pit Bull. E i sindacati, soprattutto la Cgil. Hanno anche loro un patrimonio, fatto di iscritti e consenso. Nella gestione di questo patrimonio si comportano come piccole e grandi aziende: nessun investimento per carità. Se “mollano” in tutto o in parte sulla flessibilità in uscita, se “spendono” sull’articolo 18 e dintorni pensano di dilapidare e disperdere. Investire parte del loro capitale e patrimonio sulla possibilità di avere nuovo capitale e patrimonio, nuovi lavoratori grazie alla flessibilità in entrata al mercato del lavoro? Rischio, azzardo valutazione e calcolo del beneficio differito, non puoi chiedere al Pit Bull di analizzare l’economicità del fare la guardia, per il Pit Bull chiunque bussa e non sia già conosciuto è appunto un intruso. E l’intruso è pericoloso per definizione.

I Pit Bull delle Parti Sociali sono così e da almeno venti anni li vogliamo così e così ci piacciono. Nell’illusione che i “cattivi” e gli inefficienti siano solo i politici.  Solo i politici? Uno studio attento e documentato della Confindustria racconta che dal 2000 al 2010 il Pil pro capite degli italiani è diminuito del 2,3 per cento. Quello del Giappone, paese dall’economia stagnante, è cresciuto nello stesso decennio del sette per cento. Quello della Germania del 10,1 per cento. Quello della elefantiaca Francia del 4,9. Quello degli Usa patria della crisi finanziaria del 6,3. Quello della Gran Bretagna ormai quasi desertificata di industrie manifatturiere dell’11,8. Quello della tassatissima Svezia del 16,4. Quello della scassatissima Spagna del 7,4 per cento. Qualunque governo, qualunque politica economica, qualunque struttura sociale se raffrontata alle nostre e ai nostri ha prodotto nell’ultimo decennio percentuali di ricchezza doppie, triple, quadruple e quintuple rispetto all’Italia. Proprio tutta e solo colpa dei politici? Come mai l’Italia, pur avendo i salari, le retribuzioni nette tra le più basse, ha la peggiore produttività? Come mai dove l’Italia fa 68, la Gran Bretagna fa 77, la Francia 73, la Germania 80, la Svezia 84, gli Usa e la Svizzera cento? Perché da noi, nonostante  guadagni di meno chi le lavora si producono merci che costano di più a venderle sui mercati?

Sì, certo: l’alto debito pubblico, l’ultimo calcolo lo porta a 32.300 euro a testa neonati compresi. Ma l’alto debito pubblico ce l’ha pure il Giappone. Sì, certo: l’alta tassazione. Ma ce l’ha anche la Svezia e la Francia non scherza. Quel che davvero in Italia c’è più che in ogni altro paese sviluppato è la resistenza di massa non al “Salva Italia” o al “Cresci Italia”. Su questo la società e le sue “parti” trattano, subiscono, ottengono. Quel su cui non si tratta ed eventualmente si rompe è il “Cambia Italia”. Cambiare è per la nostra società, organizzata o istintiva che sia non un’opportunità su cui investire e rischiare ma un calice amaro da allontanare. La politica, i politici nel corso degli ultimi decenni si sono adattati a questo bisogno sociale. Fino a che hanno potuto hanno presidiato loro in prima persona l’immobilità generale. Nel frattempo una selezione a rovescio del loro “ceto” ha fatto sì che scadessero da domatori di Pit Bull a imitatori di Pit Bull. Insomma sono diventati dei “volpini” piccoli dalle grida querule e dall’abbaio compulsivo. Nel frattempo diventavano anche come citiamo da un articolo di fondo del La Stampa: “Organizzazioni a fini di lucro dal personale scadente”. Ma questa è altra anche se parallela storia.

Quindi può accadere che in una sera di marzo i partiti si “arrendano” ad una riforma del mercato del lavoro, salvo poi essere di fatto zittiti e rimessi all’angolo all’alba successiva, al risveglio dei Pit Bull della Parti Sociali che fanno il loro lavoro. Dicono che il governo la riforma la farà comunque, anche da solo. Forse, di certo qualcosa farà. Ma una cosa certissima c’è: il paese vuole la minor riforma possibile. E non è una novità: il muoversi e il cambiare il meno possibile è quello che il paese reale vuole e fa da almeno venti anni e le cifre dell’ultimo decennio sono lì a testimoniarlo.