Renzi-Boschi: scemenze su Fanfani e intellettuali. E parole sante sui sindacati

di Lucio Fero
Pubblicato il 28 Ottobre 2014 - 16:12 OLTRE 6 MESI FA
Renzi-Boschi: scemenze su Fanfani e intellettuali. E parole sante sui sindacati

Maria Elena Boschi (LaPresse)

ROMA – La stupidaggine made in Maria Elena Boschi è così grande e così manifestamente sciocca da indurre il dubbio le sia stata attribuita. No, un ministro, una giovane, una donna intelligente non può…Veramente neanche una persona qualunque, appena appena acculturata, appena incline ad usare dosi limitate di buon senso potrebbe quel che ha potuto il ministro più fotografato che c’è. Pare che a domanda su chi prediliga tra Amintore Fanfani ed Enrico Berlinguer la Boschi abbia emesso un cinguettio, stavolta non di tweet, e abbia detto: “Fanfani perché è aretino”. E la Boschi, si sa, è anch’essa toscana.

Pare, dicono, verrebbe da non crederci che una persona seria possa rispondere così. La Boschi ha una sola attenuante per la sua stupida e sciocca risposta: la domanda. Anche la domanda su chi preferisci tra Fanfani e Berlinguer come fossero Topolino o Paperino appartiene a tutto titolo al mondo delle sciocchezze stupide. La domanda è l’unica attenuante, l’aggravante è già nell’aver risposto a simile domanda. E la stupidaggine in cosa consiste? Nell’aver preferito Amintore Fanfani mentre lei che è del Pd doveva rispondere Enrico Berlinguer? No, la stupidaggine non è questa.

La stupidaggine grossa e grassa è nella motivazione della preferenza: la toscanità, l’essere delle “stesse parti”. Ma come si fa ad addurre un motivo così inconsistente e insieme così pacchiano? Qualcuno ha fatto anche osservare che Amintore Fanfani fu l’uomo che incarnò l’opposizione della Dc al divorzio, insomma non proprio un liberal democratico. Qualcuno ha fatto anche osservare che Amintore Fanfani non era certo la destra democristiana ma di certo non aveva e non avrebbe voluto avere nulla a che fare con il riformismo di centro sinistra…Ma queste sono questioni che appaiono troppo di spessore per la Boschi che risponde in maniera sciocca a una domanda stupida o, se preferite, in maniera stupida risponde a domanda sciocca.

La seconda stupidaggine del fine settimana è voce dal sen fuggita del capo, Matteo Renzi. Eccola: “Gli intellettuali sono quelli che guardano un cantiere e dicono: non ce la faranno mai”. Ce n’è di gente così, per carità. Ma di solito fanno i conduttori in tv ed è abbastanza inquietante che Renzi confonda e sovrapponga le due categorie, per lui gli intellettuali sono Santoro, Travaglio, Paragone, Gruber, Vespa..? Anche estendendo la categoria ai commentatori su carta stampata agli intellettuali non si arriva. La visione, la percezione di Renzi sugli intellettuali è, si passi l’intellettuale alterigia, alquanto plebea. Lascia purtroppo supporre un residuo minimo anche in Renzi della tradizione italiana di avversione e sospetto verso il “culturame” e lascia intravedere una non assidua partecipazione del premier a quell’attività che si chiama studio e lettura.

Anche per Renzi però un’attenuante c’è: gli intellettuali in Italia scarseggiano alquanto ed è invece pieno di gente vestita da intellettuale che effettivamente ci campa a mettersi davanti al cantiere e dire: non ce la faranno. Ci campa come lo iettatore di Totò davanti al negozio di Tizio o Caio…Però Renzi, se fosse appena un po’ intellettuale o erudito o istruito dovrebbe sapere che senza le competenze, il sostegno e anche la passione dell’intelletto e di chi del suo uso fa una disciplina il “cantiere” rischia di essere o “babele” dove nessuno capisce l’altro o nave della flotta borbonica dove tutti si agitano per fare la “mossa” di agitarsi. Ne frequenti, ne legga qualcuno di intellettuale il premier Renzi, non sarà per lui tempo perso. Anzi, ne ha bisogno. farà fatica a trovarne di intellettuali data la selezione a rovescio dei ceti dirigenti in Italia, selezione a rovescio che data ad almeno venti anni e riguarda non solo la politica. Farà fatica, ma gli farebbe bene eccome sudare a trovarne qualcuno. Magari non di persona ma sui libri che, temiamo, Renzi non abbia il tempo di leggere. E alla fine, di niente letture per niente tempo, si finisce anche da capi a soffrire di una sorta di analfabetismo di ritorno.

Eppure dalla stessa bocca, quella di Renzi, è uscita anche una sacrosanta verità, qualcosa che aveva bisogno di essere detta così come è stata detta. Qualcosa di vero e di sano. tanto vero e tanto sano quanto misconosciuto e oscurato in Italia. Renzi ha detto che i sindacati non hanno né titolo né delega per “trattare” con il potere esecutivo, con i governi, la politica nazionale. I sindacati, ha finalmente detto Renzi, sono libere e utili organizzazioni che trattano la retribuzione, le condizioni di lavoro, l’organizzazione del lavoro. E’ questo il loro mestiere ed è questa la loro legittimità. Legittimità conferita loro da chi ai sindacati si iscrive o aderisce. Pochi o tanti che siano sono i lavoratori che aderiscono ai sindacati, i lavoratori o parte di essi, i lavoratori e non i cittadini.

I sindacati, proprio perché rappresentano istanze e interessi di una “parte sociale” non possono interpretare, dettare, addirittura “trattare” l’interesse generale. Non possono, proprio non devono dare il visto o il veto preventivo ad una legge dell’esecutivo o del legislativo. Se lo fanno, e lo fanno da decenni, è distorsione del percorso democratico ed è un arrogarsi da parte dei sindacati di una “sovranità” che non è corretto detengano. In parole ancora più povere: non c’è fondamento alla pratica pluridecennale per cui i sindacati vanno a trattare con i governi in nome e per conto della collettività tutta, anche dei non iscritti, non aderenti, e soprattutto a trattare come fossero una istituzione alla pari con il Parlamento o il governo.

Comprensibile che questo appaia ai sindacati “surreale”. Sono abituati nel pubblico impiego ad essere preventivamente consultati anche sullo spostamento di una sedia. Anzi una sedia non si sposta senza l’autorizzazione dei sindacati. Nella Pubblica Amministrazione è così e i sindacati considerano da tempo governi e Parlamento come articolazioni della Pubblica Amministrazione. Per cui può accadere che i sindacati vadano a Palazzo Chigi convinti che la legge di stabilità si farà solo se loro daranno il via e si ritrovino stralunati e dire e a dirsi: ma questi non trattano. Già, non trattano perché, come finalmente dice Renzi, non c’è nulla da trattare. Susanna Camusso va a Palazzo Chigi a proporre la tassa patrimoniale invece che il calo dell’Irap, si aspetta che qualcuno tratti e le dia, in cambio della rinuncia alla patrimoniale, magari un po’ di deficit in più. Invece si ritrova con un governo che le dice: la tassazione in Italia è affare del governo e non del sindacato.

Inaudito per il sindacato, inaudito da decenni in Italia. Inaudito in pubblico anche se tutti se lo dicevano in privato, compresi i Prodi, i D’Alema e talvolta perfino i Bertinotti. Un sindacato quello italiano che letteralmente “sindaca” sulla politica estera, sulla pedagogia scolastica, sulla politica energetica, su quella demografica, sull’ambiente, sulla cultura, sui teatri, sui cinema, sulle scuole, sull’urbanistica e magari molto meno sindaca su salario e produttività è qualcosa di ipertrofico, anzi obeso. E, come ogni obesità, se perdura e cresce porta danno alla salute generale. Renzi l’ha detto e l’ha pure fatto: ha invitato il sindacato a farsi i fatti suoi che sono tanti, importanti, sacrosanti e nobili. Ma a farsi solo i fatti suoi e a non inventarsi come Stato nello Stato. C’è solo da sperare che nessun altro presidente del Consiglio dopo Renzi si rimangi questa sacrosanta e misconosciuta verità.