Tasse sbagliate e soldi buttati, è l’incesto governo-elettorato

di Lucio Fero
Pubblicato il 27 Giugno 2013 - 14:51 OLTRE 6 MESI FA
Tasse sbagliate e soldi buttati, è l'incesto governo-elettorato

Enrico Letta (foto Ansa)

ROMA – Chiunque ragiona e fa di conto, attività non diffusissime almeno in tandem, e chiunque pensa e parla con un minimo di competenza in materia, magari avendo in vita sua letto qualche libro di economia o di storia, sa che in Italia d decenni si pagano troppe insopportabili tasse sulle “persone” e poche lievi tasse sulle “cose”. Lo dicono i numeri e lo dice l’esperienza concreta di ogni contribuente. Lo conferma la tassazione sul lavoro e sul profitto, il “cuneo fiscale” che tra tassi e contributi si mangia la metà della retribuzione lorda e del costo del lavoro, la pressione fiscale sul reddito d’impresa che può arrivare al 60 e passa per cento. Lo dicono i fatti: siamo il paese con le tasse più alte su profitti e salari e quindi con le retribuzioni nette tra le più basse in Europa.

Al contrario la tassazione sulle “cose”, cioè sul patrimonio e sui consumi è bassa. Bassa rispetto agli altri paesi e bassa in assoluto. Lo hanno constatato i ministri delle Finanze e Tesoro della Prima e Seconda Repubblica, quelli di destra e di sinistra. E non c’è economista, fiscalista o semplice ragioniere che non consigli, suggerisca, proponga da anni e anni di abbassare le tasse sulle “persone” e di aumentare le tasse sulle “cose”. Ma in Italia più che altrove le tasse non sono solo sulle persone o sulle cose, sono anche sui, dentro, attorno al meccanismo elettorale e alla volontà popolare. Di tasse parlate e pagate si vincono o si perdono le elezioni in Italia.

Quindi, anche se ragione e conto, scienza e esperienza, economia e sociologia, evidenza ed esperienza attestano e proclamano che in Italia c’è troppa Irpef e troppa Ires e poca Ici (poi verrà l’ Imu sorella maggiore e più pesante) e poca Iva, la matematica elettorale dice altra e diversa cosa. E la matematica elettorale per i partiti e i governi italiani è l’unica cosa che vale. Quindi Berlusconi vince una tornata elettorale abolendo quella che era una leggera tassa sulla casa, la più leggera in tutto il continente e tra le più leggere al mondo. Al mondo, perché si stupisca chi vuole stupirsi in nessuna parte del mondo val l’italica tesi che la casa siccome te la sei comprata con i tuoi sudati risparmi non è patrimonio tassabile. La casa e ogni altra forma di patrimonio da noi vengono non solo tassati poco ma sono i primi ad essere sgravati dalla tassa dalla campagna elettorale in corso e dal governo che arriva a sostituire quello di prima.

Quindi in piena coerenza l’ultima campagna elettorale in ordine di tempo ha visto il Pdl promettere niente Imu, il Pd promettere meno Imu, M5S giurare stop Equitalia e tutti insieme garantire guerra e stop all’Iva. Quindi in piena coerenza il sistema politico ha promesso meno tasse sulle “cose” e l’elettorato ha votato per meno tasse sulle “cose”, cioè sul patrimonio e i consumi. Aggiungere gli interessi di ceto e professione e organizzazione di commercianti, esercenti e associazioni varie di consumatori, aggiungere la diffusa percezione dell’Imu come tassa “marziana” perché la “casa non si tocca”. Ed ecco che le prime misure fiscali del governo Letta, il governo con dentro Pdl e Pd, sono per abbassare le tasse sulle “cose”, cioè l’Imu e l’Iva e per non far nulla o peggio per le tasse sulle persone”.

Nulla o peggio: il rinvio di tre mesi dell’aumento dell’Iva è finanziato da un “prestito forzoso” sugli acconti Irpef. Il rinvio per ora fino a settembre della prima rata Imu non è finanziato per nulla ma in qualche modo bisognerà farlo. Non è maligno immaginare un’altra partita di giro fiscale tra tassa che scompare e tassa che appare. Sia quelle che appaiono sia quelle che scompaiono sono comunque tasse sbagliate, sbagliata è la politica fiscale del governo delle larghe intese. Larghe intese ma vista corta e sempre nella stessa direzione. Vista corta, immaginazione zero, coraggio politico introvabile. Sulle tasse la cosa da fare è nota quanto apparentemente impraticabile in Italia: abbassare e non di poco le tasse sull’impresa e sul lavoro. Tutte le risorse lì perché è lì che si crea lavoro e ricchezza ed è lì che si è sempre accanito il fisco italiano. Logica, economia, matematica e perfino giustizia sociale dicono, suggeriscono, quasi reclamano: meno, molto meno di Irpef e un po’ di Imu e Iva quanto serve. L’opposto di quel che fa il governo.

Governo che però non è cattivo e sordo ai voleri della pubblica opinione. Anzi è in sintonia con la pubblica opinione che vuole la pubblica esecuzione e ghigliottina dell’Imu e la messa ai ceppi dell’Iva. Del costo del lavoro, della produttività, del salario netto, della deindustrializzazione del paese…magari un’altra volta. Infatti con piena coerenza il governo Letta-Alfano delle larghe intese sforna incentivi alla occupazione giovanile risicati nella quantità e probabilmente inefficaci nella qualità. Pochi soldi per una platea necessariamente ristretta, serviranno a rendere più “dolci” assunzioni che ci sarebbero state comunque. Poco più dunque che soldi buttati quel miliardo e mezzo quasi. Si doveva sommare questo miliardo e mezzo con i due che non verranno dall’Iva e invece dovevano venire e i quattro dell’Imu che non verranno e invece dovevano venire, fare dieci miliardi e anche di più e gettarli tutti sul tavolo alla voce meno tasse su impresa e lavoro. Ma l’ammucchiata incestuosa partito-governo-elettorato ha i suoi vizi e le sue perversioni, prima tra tutti quello di avvinghiarsi all’albero storto del fisco italiano: poche tasse su patrimonio e consumi, molte tasse su lavoro e reddito e così e ancora e ancora…L’albero storto della lap dance fiscale ed elettorale .