Saccomanni: sì a Rai privata dallo studio di Fazio, sedia di Maradona. No buono

di Marco Benedetto
Pubblicato il 27 Ottobre 2013 - 12:35 OLTRE 6 MESI FA
Saccomanni: apre a Rai privata dallo studio di Fazio sulla sedia di Maradona

Fabrizio Saccomanni: Rai privata? Perché no?

ROMA – Rai privata o pubblica? Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni apre alla privatizzazione della tv di Stato e non è una buona notizia. Potrebbe essere una notizia non seria, visto che Saccomanni lo ha detto dalla sedia su cui era seduto una settimana prima Maradona quando faceva il gesto dell’ombrello a Equitalia, di cui Saccomanni è il responsabile politico. Per chi ha un minimo di esperienza su come vanno queste cose, appare molto strano che un ministro come Saccomanni sia andato da Fazio senza un minimo di preparazione e la domanda di Fazio, certo  provocata anche dalle quanto mai tempestive parole di Tarak e di Sawiris, non ha certo colto di sorpresa il ministro. Forse Fazio non ne era consapevole, ma sembra essere diventato conduttore di un ballon d’essai per vedere che aria che tira. Finora ha protestato solo il sindacato dei giornalisti Rai.

Saccomanni può avere aperto a una Rai più o meno privata per alleggerire la pressione che è tornata a montare negli ultimi tempi, con Beppe Grillo che spinge da una parte e Tarak ben Ammar dall’altra. A sinistra alcuni si eccitano e questo ci deve insospettire, perché deve essere chiaro a tutti che chi vuole una Rai privata e spezzata in due o tre, lasciando Berlusconi saldamente proprietario di tre reti o è un folle o un incosciente e non si rende conto di fare il gioco dello stesso Berlusconi.

È vero che la legge Gasparri prevede la privatizzazione della Rai, ma era un modo per esorcizzare il demonio. Quanto a una  Rai parzialmente privatizzata, con soci di minoranza, è una ipotesi assai stramba: chi metterebbe soldi in un carrozzone come quello, senza potere incidere sui costi e sulla organizzazione?

Ma vediamo prima cosa ha detto Saccomanni, affidandoci alla cronaca della agenzia Ansa. Ma sul sito di Che tempo che fa c’è l’intera intervista in audio e video.

Primo flash:

“Ci sono varie ipotesi sotto esame, stiamo guardando ogni possibile soluzione”

Nel caso della Rai, per Saccomanni

”rimarrebbe la tv pubblica”.

Secondo take:

“Noi abbiamo detto, lo ha detto anche il presidente del Consiglio Enrico Letta, che intendiamo annunciare entro fine anno un programma di privatizzazioni che coprirà sia proprietà immobiliari dello Stato, ma anche partecipazioni azionarie, che sono ancora numerose anche se veniamo dopo un percorso di privatizzazioni significative negli anni scorsi”, ha aggiunto Saccomanni.

“In questo ambito – ha proseguito rispondendo a due specifiche domande su Eni e Rai – ci sono varie ipotesi. La Rai è una delle società di cui lo Stato è azionista, stiamo guardando ogni possibile soluzione”. L’obiettivo del programma, ha concluso, “è dare una mano alla riduzione del debito pubblico, gli introiti andranno direttamente nel fondo di ammortamento del debito: abbiamo bisogno di poter dare un segnale che al di là di rigore fiscale c’è anche un altro modo, che è quello delle privatizzazioni”.

Sono parole gravi, quelle sulla Rai, perché adombrano una adesione del Governo Letta e in particolare del ministro Saccomanni, azionista pro tempore della Rai, al progetto di Beppe Grillo di vendere due reti e tenerne una come servizio pubblico.

Ci sono tre aspetti da tenere ben presenti, che riguardano il futuro mercato tv in Italia nel caso si proceda con la privatizzazione ipotizzata da Saccomanni; gli interessi dei cittadini; gli interessi dei giornali.

1. Il mercato. Berlusconi ha giustificato sempre le sue tre reti con la necessità di contrapporre alle tre reti Rai analoga offerta. Si tratta di una colossale balla, se non altro perché la Rai c’era prima di Berlusconi ed è Berlusconi l’usurpatore; è una balla soprattutto perché Berlusconi, sulle sue tre reti, può mettere pubblicità fino al 18% di ogni ora, la Rai solo fino a 12%.

Complessivamente, Rai e Mediaset controllano fra loro oltre l’80% dell’audience e del mercato pubblicitario. Sono due blocchi di tre reti che si confrontano. Tre reti consentono sinergie di ogni tipo, dalla promozione incrociata dei programmi alla vendita dei pacchetti pubblicitari. Sarebbe un sogno paradisiaco per Berlusconi vedere sgretolarsi davanti a lui la concorrenza della Rai, spezzattinata in due o tre.

L’unica cosa decente sarebbe sottoporre allo stesso processo di spezzatino anche Mediaset ma è assai dubbio che in Italia ci sia qualcuno in grado di arrivare a questo, con Berlusconi vivo.

2. Gli interessi dei cittadini.

Qui sia consentito ripetere parole già messe in rete 4 anni fa a proposito delle nomine Rai.

“Tutti si indignano, inutilmente. La Rai è per sua natura lottizzata, e questo non si deve vedere come un aspetto negativo, ma un valore democratico.

“La Rai è una macchina di diffusione di informazioni e idee in una posizione di semi monopolio, strutturata come un’azienda, ma per la quale, data la rilevante natura politica del suo ruolo, la sua rispondenza alle esigenze della democrazia vale di più della sua funzionalità al prioritario obiettivo aziendale di generare profitti.

“Non è quindi uno scandalo che i partiti, secondo il peso in Parlamento, abbiano l’effettivo potere di nomina di capi e sottocapi a tutti i livelli, fino all’ultimo redattore. Anzi è un fatto positivo, perché in questo modo i partiti, che sono lo strumento primario e prioritario della partecipazione dei cittadini alla vita politica, e le idee che i partiti esprimono, hanno accesso alle onde radio e tv.

“Il problema è piuttosto quello del controllo dell’altro semimonopolio, che è in mano a un privato.

“Ma forse questo è il tema che la sinistra avrebbe dovuto affrontare, quando lo poteva fare (e ahinoi nessun sa dire quando lo sarà di novo): non tanto quello di espropriare Berlusconi della sua azienda, quanto quella di imporre all’altro semimonopolio regole di governance democratica analoghe a quelle della Rai.

“Quelli che se la prendono con la partitocrazia nella Rai, che modello hanno da proporre in alternativa? La meritocrazia per concorso per titoli, punti e esami? Da come funziona lo Stato italiano, che su un tale meccanismo si dovrebbe basare, non c’è da esserne troppo entusiasti.

“La Rai in mano ai privati? Ma forse i privati sono le vestali del sacro fuoco del merito? Decenni di vita in questo mondo dell’informazione coronati dalle più recenti esperienze dirette portano a concludere il contrario.

“Le scelte dei vertici sono condizionate nel migliore dei casi da affinità ideologiche con la proprietà, nella peggiore dalla volontà di compiacere poteri superiori; comunque i criteri non sono mai neutri.

Avete mai letto un articolo di un giornalista di dstra su Repubblica? Di uno di sinistra sul Giornale? Chi ne ha scritto se ne è dovuto andare.

“La differenza tra il pubblico e il privato è che, per i ruoli sottostanti, nel pubblico scelgono gli azionisti di riferimento, i partiti (secondo la giusta quanto vilipesa definizione di Bruno Vespa), nel privato i capi e capetti della più o meno lunga catena di comando, sempre secondo criteri di affinità ideologica, culturale, politica o amicale.

Gli interessi della stampa. Il mercato pubblicitario non è a compartimenti stagni, ma è regolato dal principio fisico dei vasi comunicanti. Fedele Confalonieri, amico di Berlusconi e presidente di Mediaset lo ha sempre negato per allontanare dalla sua azienda le accuse di eccesso di dominio. Ma chi ha vissuto gli alti e bassi del mercato degli ultimi 20 anni ha ben visto che non è così. Una Rai privata non può non avere come conseguenza la modifica del tetto che oggi riduce l’affollamento Rai ai due terzi di quello delle tv commerciali. Il fatto che la rete rimasta pubblica non abbia pubblicità, ammesso che poi sia davvero così, sul modello Bbc (poi mi dite come fate con il canone, che in Inghilterra è molto più alto che da noi e non è nemmeno un canone ma una tassa), non vuole dire molto perché due reti ex Rai private godrebbero anche di tutta una serie di vantaggi sul fronte delle varie forme di pubblicità che vanno oltre i caroselli e gli spot.

Cinque reti commerciali, di cui tre in mano a Berlusconi, con l’aggiunta di Sky che il suo danno lo ha già fatto, farebbero uno sfracello peggiore di quello che ora sta facendo la Rai nell’indifferenza generale.

Il mondo della carta stampata sembra rassegnato al suo destino. Pensano di far pagare notizie che si trovano quasi dappertutto e non si preoccupano delle centinaia di milioni di euro che svaniscono nel pozzo della tv.