“Italia non è povera, spreca”. Giuseppe Prezzolini profetico 40 anni fa

di Michele Marchesiello
Pubblicato il 27 Novembre 2014 - 12:41 OLTRE 6 MESI FA
"Italia non è povera, spreca". Giuseppe Prezzolini profetico 40 anni fa

“Italia non è povera, spreca”. Giuseppe Prezzolini profetico 40 anni fa

ROMA – “L’Italia non è un paese povero; è male amministrata. Spreca; investe male ; spende per educare uomini che manda a servire per l’arricchimento di altri paesi; mantiene impiegati male pagati o troppo pagati per quello che fanno male e quello che non fanno; dai Sindacati si lascia imporre salari che non è economico dare; promette pensioni che saranno pagate con moneta svalutata; ha ferrovie che servono bene soltanto quelli che non pagano il biglietto; regala medicine a malati immaginari; permette ai chirurghi di far pagare somme che nessun ospedale straniero, meglio fornito dei nostri, metterebbe in conto; ha un mucchio di impiegati statali dei quali una gran parte lavora per aziende private; è costretta a cedere le sue industrie agli stranieri. Insomma è un paese falso, con una ricchezza non esistente, che vive facendo debiti e firmando cambiali, con reciproci inganni, il tutto a profitto di un piccolo gruppo di affaristi e di maneggioni e di distributori politici di piccoli stipendi”.

Queste parole che sembrano descrivere l’Italia di oggi ( con un paio di eccezioni, su cui merita soffermarsi ) sono di Giuseppe Prezzolini, che le ha scritte nel 1974, pochi anni dopo il suo rientro dal lungo soggiorno americano.

Sono passati quarant’anni da quella descrizione che sembrava preludere al crollo di un’intera nazione, e nulla – o quasi – è davvero cambiato da allora. Gli sprechi e gli investimenti ( i pochi ancora possibili ) dissennati; la emorragia dei cervelli verso altri , più ospitali paesi; un ceto impiegatizio sostanzialmente parassitario; le ferrovie delle ‘frecce rosse’ per i privilegiati ma della tradotte per i pendolari; gli sprechi delle mutue e le parcelle d’oro ‘in nero’ dei grandi professionisti; il lavoro anch’esso in nero; la progressiva svendita alle multinazionali delle nostre migliori realtà industriali . Il nostro è sempre più un paese di falsa democrazia, dalla ricchezza in gran parte inesistente, che vive di debiti e cambiali , fondato sul raggiro reciproco e sul profitto illimitato di un piccolo gruppo di maneggioni e ‘distributori politici di piccoli stipendi’.

Dopo quarant’anni, nulla – o quasi – sembra essere cambiato. Il paese è sempre uguale a quello descritto impietosamente da Giuseppe Prezzolini. Se non peggio.

Se è vero che i Sindacati non sono più in grado di imporre salari anti-economici, è altrettanto vero che essi non sembrano capaci di difendere i lavoratori dal ripristino di condizioni di lavoro che li mettono alla mercè dei datori di lavoro. E anche se le pensioni non avvertono più il morso dell’inflazione, la pensione è diventato per i più un miraggio quasi irraggiungibile.

Quelle che sembravano conquiste di un paese sul punto di trovare una identità e una legittima collocazione tra le nazioni più avanzate del mondo, gli si sono rivoltate contro, trasformandosi in altrettante insostenibili zavorre: l’accesso al lavoro,alla casa, alla salute, all’istruzione, lo stesso sistema politico disegnato dalla Costituzione – il Parlamento, i Partiti, gli Enti locali, la pubblica amministrazione , la fiscalità – si sono tradotti in cause perverse di pubblico e privato degrado economico, politico, sociale.

E, tuttavia, se quasi mezzo secolo è trascorso senza che si riuscisse a porre fine al declino , assistendo piuttosto a una sua irresistibile accelerazione, viene il sospetto che proprio quel declino sia divenuto fisiologico.

Il “paese delle meraviglie” si è abituato a vivere nel declino, facendone il proprio habitat naturale. La ricchezza vi è sempre falsa, il profitto è sempre di pochi maneggioni, la politica continua a distribuire piccoli stipendi e privilegi.

Solo la povertà e le diseguaglianze – rispetto al quadro disegnato da Prezzolini – sono diventate terribilmente reali. L’Italia non viene più , come allora, da un’antica e nobile povertà, ma si avvia verso forme moderne di povertà: diseguali , ignobili, indifferenti alla politica.

Nessuna catastrofe: solo un interminabile declino attende questo paese, a meno che la politica non si mostri finalmente capace di rialzare la testa.