Emanuela Orlandi, 40 anni dopo, Pino Nicotri chiude il caso: “Il rapimento che non c’è”, un nuovo libro

Emanuela Orlandi, 40 anni dopo, Pino Nicotri chiude il caso: "Il rapimento che non c’è”, nel nuovo libro in uscita una nuova pista

di Pino Nicotri
Pubblicato il 30 Aprile 2023 - 07:08 OLTRE 6 MESI FA
Emanuela Orlandi, 40 anni dopo, Pino Nicotri chiude il caso: "Il rapimento che non c’è”, un nuovo libro

Emanuela Orlandi, 40 anni dopo, Pino Nicotri chiude il caso: “Il rapimento che non c’è”, un nuovo libro

Emanuela Orlandi, 40 anni dopo, in un libro appena pubblicato, Pino Nicotri chiude il caso: “Il rapimento che non c’è”.

“Buongiorno, Nicotri. Ma come? Arriva in libreria il suo quarto libro sul mistero Orlandi, dal titolo provocatorio “Emanuela Orlandi “Il rapimento che non c’è” e lei non mi dice nulla?”.

Buongiorno, eminenza. Ma guardi che io gliene ho fatto spedire una copia dalla casa editrice, con dedica. Spero si tratti solo di un ritardo, sempre possibile quando c’è di mezzo la posta o un corriere. Ma non vorrei che qualcuno il libro se lo sia intascato lui…

“Farò fare dei controlli”.

Bene. Poi mi faccia sapere.

“Chissà a quale notizia o ipotesi contenuta nel suo nuovo libro si ispireranno i soliti noti per spacciare altre fesserie per verità sacrosante e seminare altri scandali”.

Come, scusi? Non capisco, eminenza.

“Le spiego andando per punti.

Il primo a parlare di sesso, Dio mi perdoni, tra il Papa Giovanni Paolo II ed Emanuela Orlandi, tema fatto esplodere con immancabile fragore e scandalo in temi recentissimi,  è stato il suo libro La verità: dai Lupi Grigi alla Banda della Magliana, edito nel 2011, cioè ben 12 anni fa”.

In effetti ne parlavo giorni fa con un mio amico. Beh, sì, però…

“No, mi lasci finire. A pagina 189 di quel libro lei ha scritto: «A primavera inoltrata, sempre al caffè Camilloni, ma questa volta ai tavolini esterni, Imposimato superò se stesso. Mi raccontò che in Parlamento negli archivi della Commissione Stragi c’era una informativa di un collaboratore del Sismi che spiegava a chi si riferisse la frase «altra notte d’amore con Giovannino».

“Ometto per decenza la breve frase successiva, che senza timore di nominare il nome di Dio invano decanta le capacità amatorie di Wojtyla [«Scopa come un Dio», NDR]. Ometto quelle parole e proseguo nel citare quel passo: informativa a dire dello 007 scritta su una pagina di un diario di Emanuela. «Secondo l’informatore dei servizi, Giovannino è Wojtyla!» sparò l’ex senatore. «Non ci credo…», balbettai sbalordito”.

Ecco, vede: appunto, io non ci credevo neppure da lontano.

“Lei non ci credeva neppure da lontano, ma qualche fesso o malintenzionato in malafede ci ha creduto. O ha almeno voluto che ci credessero gli altri, gli ingenui, i pettegoli e i maligni”.

Non ci credevo anche perché avevo già scoperto che Ferdinando Imposimato, ex giudice istruttore del tribunale di Roma diventato legale della signora Maria Pezzano, madre di Emanuela, mi aveva già raccontato alcune frottole clamorose. Il mio primo libro sul mistero Orlandi, intitolato Mistero vaticano La scomparsa di Emanuela Orlandi, edito nel 2002, avrei dovuto scriverlo e firmarlo con lui e con l’ex magistrato Rosario Priore.

“Che però si sfilò quasi subito perché oberato di lavoro. Conservo ancora la copertina coi nostri tre nomi preparata dalla casa editrice Kaos. Mentre invece Imposimato mi fece avere la descrizione del rapimento di Emanuela avvenuto a suo dire da due uomini diretti chissà perché verso l’Appia Antica che l’addormentarono con un tampone imbevuto di cloroformio. E mi fece avere anche la descrizione della sua detenzione temporanea nell’ambasciata non ricordo se russa o dell’allora esistente Germania Est.

“Sì, lo so bene, lei me lo ha raccontato e lo ha pure scritto. Secondo Imposimato Emanuela venne trattenuta in due ambasciate di Paesi comunisti. E, come lei ha scritto nello stesso libo, le pagine partorite da Imposimato «ne descrivevano il risveglio in una capanna vicino a Soci, sul Mar Nero, e il suo sgranchirsi le gambe sulla spiaggia». Affermazioni che lei saggiamente ha subito definito «Roba da premio Pulitzer! O da manicomio». So bene tutto questo”.

Certo. Ma lei non sa quello che ho appurato in questi ultimi giorni, e che non ho fatto in tempo a inserire ne Il rapimento che non c’è.

“Mi dica, sono tutto orecchie”.

Lei sa bene che mi ha sempre lasciato quanto meno perplesso, se non sgomento e insospettito, il fatto che Imposimato dopo essere stato per qualche mese il legale di Ali Agca è diventato il legale della signora Pezzano. Il legale, vale a dire, della madre di quella Emanuela che a dire della versione di cui nessuno dubitava era stata rapita per essere scambiata proprio con Agca, il fanatico turco condannato all’ergastolo per avere attentato nell’81 alla vita di Papa Wojtyla sparandogli con la pistola in piazza S. Pietro.

“Sì, sì, lo so bene”.

Beh, quello che invece non sa è che negli ultimi giorni ho saputo da fonte certa che Imposimato quando come suo legale incontrava Agca in carcere lo istruiva sulle frottole da raccontare anche per accusare il sindacalista Luigi Scricciolo di avere organizzato un attentato, mai avvenuto, contro il sindacalista polacco Lech Walesa in visita a Roma e in Vaticano. Walesa, stimatissimo da Wojtyla, era il capo dell’opposizione al governo comunista della Polonia e all’annesso potere dell’Unione Sovietica su quel Paese.

“Mi permetta, Nicotri, di proseguire il mio discorso. A pagina 180 dello stesso libro leggiamo la seguente frase: «Se per ipotesi Emanuela fosse stata sepolta nei giardini vaticani o più tranquillamente nella tenuta papale di Castel Gandolfo è certo che non la troverebbe mai più nessuno… Nessun pericolo che il cadavere riemerga o rispunti fuori in qualche modo, neppure in piccola parte»”.

Ma la mia era un’ipotesi pura e semplice, direi scolastica, da fare per  onestà intellettuale e non trascurare nulla.

“Non ne dubito, però lei a pagina 250 aggiunge qualcosa che è ben più di una semplice ipotesi scolastica dovuta per onestà intellettuale. Lei infatti in quella pagina ha scritto che la sua fonte bene introdotta in Vaticano nel settembre 2003 le ha riferito quanto avrebbe appreso da due agenti del Sisde. E cioè che Emanuela sarebbe morta a Monte del Gallo durante «un incontro conviviale».

E le ha aggiunto: «Il cadavere? È stato fatto sparire, onde evitare un altro caso Montesi. Non mi meraviglierei che fosse sepolto là dove non lo potrà trovare mai nessuno, vale a dire in Vaticano o nella tenuta di Castel Gandolfo». Devo farle notare l’analogia con quanto dichiarerà l’avvocatessa Laura Sgrò il 19 aprile 2018 ad Andrea Purgatori nel programma televisivo Atlantide: «Fonti indicano la sepoltura del corpo di Emanuela in Vaticano»”.

L’avevo notato, in effetti, e ripeto, ne ho accennato di recente con un mio amico. Ma dopo quelle parole ho anche aggiunto che ero come sempre scettico. Tanto che a Monte dl Gallo ho condotto ricerche, infruttuose riguardo eventuali certezze.

“Ma anche qui, lei era scettico, ma qualche lettore può averne tratto spunto per fare  “rivelazioni” anche all’avvocatessa Laura Sgro, da qualche tempo legale di Pietro Orlandi. E di recente un giornalista [Fabrizio Peronaci, NDR] ha scritto che Emanuela sarebbe stata portata a Civitavecchia per essere poi trasferita in barca o nave in Inghilterra. E’ sorprendente come lei nel suo primo libro, del 2002, sul mistero Orlandi abbia citato proprio Civitavecchia come città dove si sarebbe fermata una notte Emanuela prima di sparire”.

Eminenza, ma quella non era una mia ipotesi, scolastica o non scolastica!

“Lo so bene. Lei riportava quanto affermato da una lettera anonima spedita all’allora giudice istruttore Adele Rando dal Vaticano da un sedicente confessore anche lui vaticano. La lettera anonima sosteneva che la sera di quel disgraziato 22 giugno 1983 Emanuela era tornata a casa per uscirne poco dopo e salire sull’auto di un prelato col quale avrebbe trascorso la notte in un albergo di Civitavecchia. E il giorno dopo a Roma, portata nei pressi della Piramide, per paura dei genitori avrebbe deciso di non tornare più a casa. Anonimo il mittente della lettera e anonimo il prelato. Peccato!”.

Guardi, eminenza, che nella copia che le ho fatto inviare del mio nuovo libro troverà il testo di quella lettera con anche il nome e cognome di quel prelato. E’ per avere pubblicato quella lettera, pur senza fare il nome del prelato, che Ercole Orlandi ha rotto i rapporti con me.

“Gli avevo spedito le bozze per avere il suo ok, che mi diede. Poi però si rifece vivo chiedendomi via fax dalla redazione dell’Osservatore Romano il taglio di quella lettera e altre pagine. venne imitato dopo qualche giorno da Imposimato con una raccomandata che pretendeva il taglio mi pare una 40ina di pagine, minacciandomi di querela se non l’avessi fatto.

“Sì, ricordo, me lo ha raccontato. Aggiungendo che non solo non tagliò nulla, ma spedì copia di quelle pagine al magistrato Lucia Lotti, che indagava su uno stralcio dell’inchiesta archiviata nel dicembre ’97 dal magistrato Adele Rando. Lei gliele inviò perché cercasse di capire il perché della pretesa del taglio”.

Il magistrato Lotti però ritenne ormai inutile fare indagini, le pareva che quelle molte pagine non contenessero nulla di “allarmante”, fatta eccezione per quella lettera anonima. Che non era stata presa molto in considerazione  neppure da Adele Rando.

“Di tutte queste orrende novità, fuochi d’artificio sparati con fragore non solo da certe tv private, l’unica che lei Nicotri non aveva già scritto e anticipato è che Papa Giovanni Paolo II la sera tardi se ne usciva dal Vaticano in incognito in abiti laici. Diretto a chissà quali piaceri notturni della carne…

Qui devo contraddirla, eminenza.

“Non insista. Io i suoi tre libri sul mistero Orlandi li ho letti tutti e quella affermazione sulle uscite in incognito di Sua Santità non c’è in nessuno dei tre”.

Verissimo. Il problema è che il testo del terzo libro, Triplo inganno, che io avevo spedito alla casa editrice Kaos il 9 aprile 2014, pubblicato a settembre quella notizia la conteneva. 

“Le hanno tagliato uno scoop!”.

No, nessuno scoop. Delle uscite in incognito di Wojtyla aveva già parlato sul Corriere della Sera il mio collega Andrea Purgatori addirittura il 15 maggio ’81: ben 42 anni fa.  Gliene avevano parlato dipendenti del Vaticano. Nulla di pruriginoso.

“Contrariamente a quanto affermato invece di recente da Pietro Orlandi, che ha oltrepassato senza nessun pudore ogni limite. Tanto che per bacchettarlo è dovuto intervenire Sua Santità Francesco ”.

Suscitando un clamore ancora più grande, planetario. Comunque la parte che mi hanno tagliato conteneva anche alcune mie considerazioni su tre parole, direi proprio avventate e decisamente fuori luogo, stranamente sfuggite a tutti, tra quanto dichiarato dal cardinale Silvio Oddi il 13 agosto 2013 nel programma televisivo Mixer di Giovanni Minoli in quella che avrebbe dovuto essere un’intervista, ma in realtà è stato un monologo. Purtroppo la Kaos ritenne di tagliare tutte le righe riguardanti le uscite notturne di Wojtyla e le parole avventate di Oddi.

“E quali sarebbero, mi scusi, le tre parole avventate del cardinale Oddi?”.

Ehhhh, Eminenza… Le leggerà a pagina 257 del libro che le ho fatto inviare e che non ha ancora ricevuto. Ciò che Kaos ha tagliato io ho l’ho recuperato.

“Il solito testardo, eh!”.