Povera Emanuela Orlandi, il bisogno di far notizia del fratello contagia i politici e deturpa la sua memoria

Pietro Orlandi scatenato, tra piste farlocche e documenti in fotocopia poco credibili

di Pino Nicotri
Pubblicato il 27 Febbraio 2024 - 07:45
emanuela orlandi

Foto archivio Ansa

Povera Emanuela Orlandi, il bisogno di far notizia del fratello contagia i politici e deturpa la sua memoria. Nonostante le cantonate prese (anche) con la fantomatica “pista inglese”  Pietro Orlandi continua ad accusare i magistrati, in particolare quelli vaticani, e ora anche il senatore Maurizio Gasparri, di non dargli retta evitando di seguire le sue ultime “rivelazioni”, vale a dire la lettera, o meglio la fotocopia della lettera sbandierata a Verissimo e la foto, o meglio la fotocopia della foto dell’asserito nastrino girocollo.

Per giunta Orlandi continua a dire che nessuna delle 26 persone che lui ha chiesto che venissero interrogate come testimoni o persone informate sui fatti, quando invece risulta che sono state interrogate tutte ed è quindi impossibile che lui non lo sappia.

Riguardo la recente affermazione del responsabile dell’Archivio Apostolico Vaticano, monsignor Sergio Pagano, che in tale archivio non esiste neppure una riga su Emanuela, Orlandi ha ribattuto che tale affermazione “è un autogol”. Perché? Perché lui quando è stato interrogato dal magistrato vaticano Alessandro Diddi ha visto sulla sua scrivania un “enorme faldone”, e perché lo stesso Diddi ha parlato dell’esistenza di “vecchie carte impolverate del caso Orlandi”.

Qui i problemi sono due:

1) – Il magistrato vaticano Diddi NON interroga dove c’è la sua scrivania, ma in un’altra stanza con un grande tavolo sul quale c’è il registratore che memorizza ogni parola detta dal magistrato e dall’interrogato, stanza nella quale siedono sia gli addetti alle registrazioni sia la cancelliera che scrive al computer i verbali.

Tavolo sul quale non essendo un armadio né una cassaforte non c’è nessuno motivo di tenervi dei faldoni. Inoltre l’”enorme faldone”, ammesso che esista, è più probabile che sia quello riguardante il processo celebrato a Londra per la brutta storia del palazzo di proprietà vaticana di Sloane Avenue, stranamente venduto a un prezzo molto inferiore, di ben 115 milioni, a quello di acquisto.

Brutta storia lunga ben 86 udienza e conclusa lo scorso 16 dicembre con una condanna non leggera, brutta storia della quale ha dovuto occuparsi lo stesso Diddi mentre si occupava anche del mistero Orlandi.

2) – A Pietro Orlandi è sfuggito che monsignor Pagano ha anche detto di non escludere che documenti sul caso Orlandi possano essere custoditi in “altre casseforti vaticane”, quindi l’“autogol” non esiste, si tratta di un’accusa infondata e pretestuosa. Inoltre è strano che Pietro Orlandi non sappia che l’Archivio Apostolico conserva documenti ormai storici, relativi cioè a faccende concluse, non documenti su faccende ancora in corso.  E grazie a mitomani, “supertestimoni” uno più farlocco dell’altro, “rivelazioni” varie e piste improponibili come la fantomatica pista inglese, il mistero Orlandi è ancora in corso da 41 anni.

Ma torniamo alla ovviamente “decisiva” pista inglese. Secondo le ultime “rivelazioni” di Pietro Orlandi, basate come ben sappiamo sulla fotocopia di una lettera che s’è rivelata falsa come quella portata ai magistrati vaticani l’anno scorso, Emanuela avrebbe vissuto per vari anni a Londra in un ostello per giovani gestito dai Padri Scalabriniani al numero civico 176 di Clapham Road.

Ma come salta fuori questo indirizzo? Storiella interessante. Salta fuori da una iniziativa del giornalista Emiliano Fittipaldi per far quadrare i conti nella lista della spesa di cinque cartelle da lui citata nel suo libro “Gli impostori

Lista che elenca tutte le spese asseritamente sostenute dal Vaticano per mantenere a Londra Emanuela fino al 1997. Per un totale pari all’iperbolica cifra di “500 milioni di euro”. E tralasciamo che l’euro nel ’97 non esisteva ancora. 

Nel documento di cinque pagine pubblicato ne “Gli impostori” come indirizzo della sede che avrebbe ospitato Emanuela compare il civico 176 di Chapman Road. Il mio amico Gianluigi Chiavacci, membro attivo del gruppo Facebook “Vogliamo la verità su Emanuela Orlandi!”, ha fatto notare nel gruppo che a Londra esistono alcune Chapman Road, ma nessuna arriva al civico 176. In altre parole: l’indirizzo 176 CHAPMAN Road semplicemente NON ESISTE.

In realtà esiste CLAPHAM Road. Indirizzo che con la nota spese NON c’entra assolutamente nulla, ma che ha il pregio di avere il civico 176 e per giunta di ospitare a quel numero civico un ostello gestito dai Padri Scalabriniani. Essendo questi dei religiosi cattolici, visti quindi dai complottisti come longa manus del Vaticano, Emanuela doveva necessariamente essere detenuta da loro. Come ha fatto rilevare Chiavacci, “un modo di far combaciare la patacca con un pregiudizio, quello di Pietro Orlandi e dello stesso Fittipaldi”.

Ecco spiegato come è nato l’indirizzo che compare nelle lettere fasulle agitate da Pietro Orlandi. Il quale pretende però che le missive siano considerate vere e attacca a testa bassa chi fa invece notare che sono falsi per giunta grossolani. Giustamente Chiavacci conclude: “Il re è nudo, il bambino lo grida a gran voce, ma tutti continuano a lodare l’eleganza delle vesti del monarca”.

Che si confonda Clapham con Chapman in un documento quasi ufficiale è solo indice di approssimazione, sciatteria o peggio.

Ho chiesto a un famoso collega televisivo responsabile anche di un telegiornale:

“Mi spieghi come mai tutti i nostri colleghi preferiscono avvalorarle e ignorare che il giornale online Open ha DIMOSTRATO che le due lettere della “pista inglese” esibite da Pietro Orlandi sono solo delle volgari patacche?”.

Risposta:

“Perché Pietro Orlandi è un soggetto da tutelare perché fa notizia”.

Insomma, una autorevole conferma che più della ricerca della verità interessa la ricerca dell’audience e del vendere più copie.