Italia nel tornado, Pino Nicotri: è tragica ma non seria, l’esperienza del passato dovrebbe evitare errori futuri

di Pino Nicotri
Pubblicato il 17 Ottobre 2021 - 10:13| Aggiornato il 18 Ottobre 2021 OLTRE 6 MESI FA
Italia nel tornado, Pino Nicotri: è tragica ma non seria, l'esperienza del passato dovrebbe evitare errori futuri

Italia nel tornado, Pino Nicotri: è tragica ma non seria, l’esperienza del passato dovrebbe evitare errori futuri

Italia ovvero “la situazione è tragica. Ma non seria”. Vecchio motto che spesso si è adattato bene all’agitata realtà non solo del BelPaese. Dove però in questi giorni è nato un nuovo “partito della fermezza”. Evidentemente c’è chi non ricorda gli effetti luttuosi del primo, che evitò di salvare la vita all’onorevole Aldo Moro. Lasciando che le Brigate Rosse lo uccidessero. Con tutto quello che ne è seguito.

E adesso questo nuovo partito della fermezza s’è svegliato di colpo e vuole anche lo scioglimento della formazione fascista Forza Nuova, aprendo così la strada a probabili nuove formazioni armate clandestine di estrema destra.

E, per immancabile risposta, poi anche di estrema sinistra.  Ma andiamo per ordine.

Buttarla in caciara dicendo che tutti i No Vax e i No Greenpass sono fascisti era chiaro fin dall’inizio che fosse un errore. Anche perché molti sono di sinistra e non pochi sono anche comunisti. Ma ora è diventato ancora più chiaro con lo sciopero dei portuali (non solo) di Trieste.E con la minaccia di imitazione da parte di altre categorie di lavoratori anche loro contrari al greenpass come conditio sine qua non per poter tornare al lavoro.

Come possa essere saltato in mente al Governo di decidere che dal 15 ottobre chi è senza greenpass non può andare al lavoro ed è anche sospeso dalla retribuzione è un mistero. Molto poco glorioso. Anche perché molti poliziotti e carabinieri sono sprovvisti del lasciapassare vaccinale. E quindi non potrebbero essere schierati in servizio di ordine pubblico per far rispettare tale decisioni del Governo a possibili e probabili masse di manifestanti contrari in varie città.

In Italia i tamponi se li pagano i lavoratori

Strana anche la decisione di far pagare agli stessi lavoratori i tamponi per poter andare al lavoro in attesa del greenpass. Trattandosi di un obbligo, prudenza e saggezza vorrebbero che l’onere non fosse – non totalmente almeno – a carico del lavoratore.  E’ un po’ come voler far pagare ai lavoratori il medico aziendale e annessi interventi. O ai piloti civili e militari le visite mediche periodiche obbligatorie per sapere se si è ancora in grado di pilotare un aereo.

Ho letto da qualche parte che nell’800 gli industriali inglesi artefici della rivoluzione industriale ai loro operai pagavano come lavoro anche il tempo impiegato per andare e tornare da casa alla fabbrica, il cosiddetto viatico. Altro che pagare i tamponi! E nel Veneto l’industriale tessile Marzotto per i suoi operai costruiva abitazioni e mense aziendali. Altro che pagare i tamponi!

E’ vero che la gratuità dei tamponi per chi non ha voluto e non vuole vaccinarsi sarebbe a carico della comunità sociale, cosa che il premier Mario Draghi ritiene – giustamente – ingiusta. Motivo per cui è “fermamente” contrario alla gratuità. Ma il costo sociale dei disordini che pare proprio ne possano nascere temo sarebbe maggiori del costo dei tamponi. 

Il peso calante dei sindacati in Italia

Veniamo ai sindacati, oggi seguiti meno e/o con meno entusiasmo e convinzione rispetto ai tempi passati.

Il problema è che l’assunzione a tempo indeterminato è sempre più un privilegio di un numero decrescente di lavoratori variamente impiegati. Il governo di Massimo D’Alema a suo tempo ha varato i provvedimenti di “elasticità contrattuale” – o di “minore rigidità contrattuale” – per “fare emergere il lavoro nero”.

Il risultato però a quanto pare è stato l’opposto di quello sperato. Il lavoro nero e quello precario non solo hanno continuato a prosperare. Ma anche con i governi successivi, ormai avviati sulla stessa strada della maggiore “elasticità” o minore “rigidità” contrattuale. Hanno man mano eroso anche parte del lavoro che nero e precario non era.

Il tutto grazie all’istituzione del lavoro “on demand” o “a chiamata” che dir si voglia, dei lavori “a progetto”, dei “co. co. co”, sigla che indicava il contratto di “collaborazione coordinata e continuativa”, ma parasubordinata e senza un orario di lavoro preciso.

Un cambiamento in senso opposto

Tutti questi cambiamenti contro le “rigidità contrattuali”, e con continue minacce di far sparire i contratti nazionali di lavoro delle varie categorie lasciando sul campo solo i contratti aziendali, nel BelPaese, noto  campione di aggiramento delle leggi secondo il noto motto nazionale “fatta la legge trovato l’inganno”,  hanno provocato un cambiamento opposto a quello sperato. 

Hanno cioè man mano fatto sì che il lavoro, inteso come professione e mestiere in grado di darti anche una identità sociale, si trasformasse in forza lavoro. Cioè in merce. Pagata per così dire a peso. Non più “garantiti”, cioè occupati con lavoro a tempo indeterminato, ma “precari”. Finché il lavoro c’è, bene. E poi? Poi non si sa.

E qui va fatta una prima osservazione. Il lavoro sul quale la nostra Costituzione basa fin dall’articolo 1 l’esistenza e la legittimità della Repubblica Italiana è quello inteso NON come merce forza lavoro. Ma come professione e mestiere fonti anche di identità, dignità e ruolo sociale. Fonte cioè di cittadinanza. Con annessi doveri e diritti.

La concorrenza dei Paesi emergenti

Saranno anche state strade obbligate a fronte della concorrenza produttiva a costi ben più bassi dei nostri man mano scatenata nel vasto mondo non solo da giganti come la Cina e l’India. Ma anche da non giganti come molti Paesi dell’Asia, dell’Africa e anche dell’Europa dell’Est. Sta di fatto che i sindacati storici in blocco – CGIL, CISL, UIL e non solo – queste novità le hanno più subite che governate.

Forse non poteva essere altrimenti. Sta di fatto che da qualche tempo i sindacati classici vengono percepiti da parte dei lavoratori semplici erogatori o meglio venditori di “forza lavoro”, come sindacati dei “garantiti”. Dei “garantiti”, cioè dei contrattualizzati, e NON anche come sindacato dei non garantiti, cioè dei non contrattualizzati.

E qui va fatta una seconda osservazione. Da che mondo è mondo il progresso scientifico e quello tecnologico modificano nelle società degli esseri umani il modo e la struttura della produzione. Ed è ineluttabile che man mano scompaiano i tipi di lavoro esistenti. Man mano sempre più obsoleti, con progressiva loro perdita di potere e progressiva perdita di paga dei lavoratori addetti, e che compaiano invece nuovi tipi di lavoro. I cui  addetti entrano nel mondo del lavoro a condizioni di partenza più basse di quelle iniziali dei loro predecessori in via di estinzione in quanto addetti a lavori ormai obsoleti.   

Anche in questo caso i sindacati hanno potuto più subire l’iniziativa del padronato che impostare e imporre le proprie soluzioni. Peraltro difficilmente partoribili. Le soluzioni nei nuovi tipi di lavoro, cioè le regole e i modi di produrre, sono dettate dalla realtà strutturale dello stesso nuovo tipo di lavoro, tecnologicamente più avanzato, cioè più “moderno”.

I nuovi lavoratori in Italia

E questo è un altro motivo a causa del quale è ineluttabile che parte non trascurabile dei nuovi lavoratori, di solito più o meno precari e comunque non “garantiti”, percepisca i sindacati classici come sindacati storici sì. Ma di una Storia che non c’è più o è comunque molto cambiata.

Non è certo un caso che il giorno 11, vale a dire due giorno dopo l’assalto alla CGIL di Roma, a Milano il corteo dei manifestanti del comitati di base COBAS e affini, certamente antifascisti sfegatati, si sia fermato davanti alla sede della CGIL per gridare slogan contro la CGIL e i suoi dirigenti.

Chiacchiere a parte, la verità – come dimostra anche il record di astensioni alle ultime elezioni amministrative – è che esiste una non piccola crisi della rappresentanza sia politica che sociale, oltre che sindacale.

Crisi che non si risolve né in termini di ordine pubblico né sventolando le ormai vetuste retoriche di quella che possiamo definire routine dell’antifascismo istituzionale. Si tratta di retoriche che ricordano quelle della CGIL e del Pci nel 1977, ma che non funzionano più come una volta. Per il semplice motivo che la struttura sociale – e produttiva – in questi 44 anni, quasi mezzo secolo, è radicalmente cambiata. Molto di più delle sue rappresentanze politiche e sindacali. 

Nel mondo dei mass media non è andata diversamente

Un certo Silvio Berlusconi a suo tempo, quando era giovane, è tornato in Italia da un viaggio negli Stati Uniti deciso a copiare in Italia la televisione commerciale, e privata, che aveva scoperto oltre oceano. E per il mondo delle tv s’è visto come è andata a finire…

Analogamente per la carta stampata. I dirigenti del sindacato e dell’Ordine dei giornalisti facevano a volte viaggi all’estero per motivi di categoria. Invece il Gruppo Editoriale L’Espresso, oggi GEDI, mandava negli USA un suo giornalista, Claudio Giua, per annusare i cambiamenti all’orizzonte del mondo dei giornali. E così al ritorno in Italia del suo uomo il Gruppo ha partorito Kataweb. Un piccolo ma significativo  assaggio, neppure tanto piccolo,  del futuro.

Ritorno al futuro

Un futuro peraltro già inaugurato pochi anni prima da Giorgio Mondadori e Amedeo Massari. Con i primi giornali in Italia scritti e impaginati al computer – Il Mattino di Padova e la Tribuna di Treviso, seguiti da La Nuova Venezia – con il conseguente addio alle macchine da scrivere e man mano anche ai linotipisti e ai dimafoni. Due parole – linotipisti e dimafoni – che indicavano due tipi di lavoro e di cui oggi pochi anziani ricordano il significato.

Sono passati vari anni da quando ho scritto per l’irrequieto sacerdote genovese don Andrea Gallo il libro “Non uccidete il futuro dei giovani”, edito da Baldini&Castoldi. Lo si potrebbe ripubblicare pari pari anche oggi… Il futuro dei giovani pare infatti che non goda ancora di buona salute. E non per colpa del Covid.

Veniamo ora alla manifestazione dei No Vax e No Greenpass conclusa col vergognoso e molto grave assalto alla sede nazionale della CGIL, al numero civico 25 di corso d’Italia a Roma.

La marcia sulla CGIL

L’intenzione di “marciare” verso la sede della CGIL era già stata annunciata ad alta voce dai vari caporioni, con in testa Giuliano Castellino di Forza Nuova, nei loro comizi in piazza del Popolo. PRIMA cioè che si formasse il corteo della manifestazione e se ne separasse una parte per andare a devastare la sede della CGIL.

Molto strano quindi, e comunque deprecabile, che il prefetto e il questore, negli oltre 30-45 minuti di tempo che c’è voluto per spostarsi da piazza del Popolo alla sede della CGIL non abbiano provveduto a dovere.

A protezione della sede sindacale c’era solo un magro schieramento di polizia, che anche a un orbo sarebbe parso fin troppo sottile. C’è stata da parte della polizia una “carica di alleggerimento” che fa sorridere i miei ricordi del ’68 e anni successivi. E NON c’è stato neppure un lacrimogeno. No comment.

No comment, però c’è chi inarcando le sopracciglia fa notare che l’attuale prefetto di Roma, Matteo Piantedosi, è stato capo di gabinetto di Matteo Salvini quando questi era ministro dell’Interno. Tanto che Salvini quando nell’agosto dell’anno scorso il suo ex capo di gabinetto è diventato prefetto di Roma ne ha tessuto le lodi.

“Buon lavoro al nuovo prefetto di Roma Matteo Piantedosi. Che in tutta la sua carriera ha dimostrato grande serietà e competenza oltre a doti umane fuori dal comune. Farà certamente benissimo”.

Prefetti e ministri in Italia

Chi inarca le sopracciglia dimentica però che Piantedosi è stato capo di gabinetto anche dell’attuale ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, che non ha appartenenza partitica ed è prefetto e consigliere di Stato.

Sta di fatto che i disordini romani sono stati presi al balzo da Giorgia Meloni per accusare in aula il Governo di “strategia della tensione”. Evidente allusione alla strategia della tensione. Che, a base di bombe e stragi, come quella del 12 dicembre 1969 di piazza Fontana a Milano – opera dei neofascisti e neo nazisti dell’epoca con la benedizione dei servizi segreti – hanno finito con l’innescare i famosi “anni di piombo” in Italia. Gli anni cioè a base di bande armate dell’estrema destra e dell’estrema sinistra e dei loro numerosi omicidi.

Vale la pena anche di segnalare alcune stranezze emerse nelle istituzioni dello Stato grazie alle manifestazioni dei No Greenpass. Per esempio, quelle della vice questore di Roma Nunzia Alessandra Schilirò e del magistrato Angelo Giorgianni. 

La rivolta della vice questore

La vice questore Schilirò sabato 25 settembre si è presentata, non in divisa e come “semplice cittadina”, sul palco della affollata manifestazione dei No Greenpass in piazza S. Giovanni. Per sostenere che l’obbligo del greenpass è illegale, addirittura incostituzionale, e che perciò “disubbidire è un dovere”.

Applauditissima anche dai militanti di Forza Nuova presenti con le loro bandiere, ma non dai molti suoi colleghi poliziotti in servizio di ordine pubblico.

Inevitabile la sospensione dal servizio, a causa della quale Schilirò s’è dichiarata anche in tv “delusa dalla Polizia, mi trattano come una terrorista”. Per poi aggiungere a sorpresa: “Ma adesso la politica mi vuole”. Tradotto in italiano, se Parigi val bene una Messa, un probabile futuro posto in parlamento aut similia val bene una sospensione dalla polizia. Per pubblico incitamento alla disobbedienza civile “sanitaria”.

Il ritorno di Giorgianni

Qualcosa di simile può avere pensato il magistrato Giorgianni, in servizio presso la Corte d’Appello di Messina, forse desideroso di tornare in Senato sotto nuove bandiere. Quelle che oggi passa il convento.  In Senato Giorgianni c’è già stato dal 1996 al 2001, ricoprendo nei primi due anni anche la carica di sottosegretario all’Interno del governo di Romano Prodi. Un po’ di nostalgia quindi è umanamente comprensibile.

Forse era convinto che trovarsi a comiziare davanti a 10 mila persone in piazza del Popolo significhi ipso facto parlare in nome del popolo.  Giorgianni ha fatto dichiarazioni a dir poco sorprendenti, ma utili per tornare in parlamento con la carrozza di turno:

“Se il fatto di indossare la toga mi deve limitare a esprimere la mia opinione sulla legittimità di atti o di provvedimenti. O peggio ancora di denunciare fatti penalmente rilevanti, anche se riguardano rappresentanti delle istituzioni. Allora preferisco lasciare la toga. Oggi il popolo italiano ha dato il preavviso di sfratto a coloro che occupano abusivamente i palazzi del potere. Noi per loro vogliamo un processo, una nuova Norimberga!”.

L’ex generale Pappalardo, caso esemplare in Italia

Ricordiamo che l’ex generale dei carabinieri Antonio Pappalardo, in pensione dal 2006 e anche lui con bella carriera in Parlamento, il 28 settembre è stato privato dei gradi. Perché, leader dei “gilet gialli” italiani e annessi No Wax, amava scendere in piazza per manifestare contro il Governo “non eletto”. E annunciare denunce e imminenti arresti di parlamentari e ministri. Arresti ovviamente eseguiti dal popolo.

In questa realtà generale alquanto confusa, un eventuale sciopero prolungato dei camionisti italiani, per giunta a fianco di scioperi dei portuali, è inevitabile che richiami alla mente almeno degli anziani quello dei camionisti cileni del settembre 1973. Che spalancò la porta alla tragica fine del governo democraticamente eletto di Salvador Allende e al governo dei militari. Con tutti gli orrori che ne sono seguiti fino al 1990.

“La situazione è tragica, ma non seria”. Speriamo sia vero anche questa volta.