Cina tra crescita e inflazione. Anatra zoppa? Non ancora, però…

di Paolo Forcellini
Pubblicato il 20 Febbraio 2011 - 14:49 OLTRE 6 MESI FA

E’ recente la notizia che la Cina è divenuta ufficialmente la seconda economia mondiale, superando il Giappone. Ora davanti al Dragone non restano che gli Stati Uniti e vi è già chi pronostica che per il prossimo, e ultimo, sorpasso ci vorranno meno di dieci anni. Del resto la cavalcata di Pechino nel decennio appena trascorso è stata un galoppo senza rivali: nel 2000 a mangiare la polvere c’è l’Italia, nel 2005 i cugini d’Oltralpe, nel 2006 è la Gran Bretagna a rimanere indietro, nel 2007 cedono il passo anche i pur brillantissimi teutoni. Giappone compreso, è un guadagno di ben cinque posizioni alla testa dell’economia planetaria in un decennio, anche se, come vedremo più avanti, la “marcia trionfale” cinese potrebbe essere prossima a un sensibile rallentamento se non a un arresto.

Data l’enorme disparità nel numero di abitanti, il divario di reddito pro capite fra Cina e paesi occidentali più Giappone rimane ovviamente molto grande. Quel che è certo, però, è che il complessivo ruolo economico del colosso Repubblica popolare sullo scenario internazionale è ormai di primissimo piano. In particolare la Cina è da tempo il primo paese esportatore nel mondo e, anche per questo, detiene una quota rilevante (40 per cento) delle complessive riserve planetarie di valuta. Tutto ciò fra l’altro fa sì che Pechino possa dedicarsi crescentemente allo shopping nelle altrui contrade, avendo a disposizione per investire un fondo sovrano di poco meno di mille miliardi di dollari, scegliendosi anche bocconcini prelibati e marchi storici: dalla Volvo alla (ex) svizzera Addax Petroleum, dal nuovo terminal transoceanico del Pireo alle (ex) italiane Benelli (moto) e Meneghetti (frigoriferi).

Ma questi sono fiori all’occhiello: il grosso del surplus cinese è servito a fare acquisti in grande stile di titoli di Stato stranieri: innanzitutto quelli americani, of course, ma negli ultimi tempi e in misura crescente anche quelli europei e in particolare quelli dei paesi con maggiori difficoltà a collocare il loro debito pubblico, dalla Grecia al Portogallo, dall’Irlanda alla Spagna: i Pigs insomma. Il risultato di queste frenetiche sottoscrizioni? Oggi Pechino detiene quasi il dieci per cento del complessivo debito pubblico americano ma ormai anche più del sette per cento di quello dei paesi dell’area euro. E ormai la Repubblica popolare sembra diventata una specie di “croce rossa” (il colore è d’obbligo) per le dissestate finanze dei Pigs ma non solo. Tutto ciò il Dragone non lo fa certo per buon cuore. Innanzitutto ogni sottoscrizione miliardaria di titoli più o meno “spazzatura” è un ottimo viatico per le vendite di merci cinesi nell’ambito di accordi bilaterali. Ma Pechino, soprattutto, tra riserve in valuta e in titoli del debito pubblico, sta portando avanti una colossale operazione di diversificazione delle proprie riserve.

Ormai oltre un quarto delle totali riserve cinesi in valuta sono in euro, mentre la quantità di debito pubblico europeo detenuta nei forzieri del gigante asiatico si sta rapidamente approssimando a quella del debito pubblico Usa (circa 900 miliardi di dollari) in quegli stessi forzieri. Dove vuole arrivare la Cina non lo nasconde: goccia cinese dopo goccia cinese, ma non troppo lentamente, Pechino vuole approdare a un nuovo sistema monetario internazionale non imperniato esclusivamente sull’imperio del dollaro, bensì su tre monete: dollaro, euro e renminbi (o yuan che dir si voglia). Per quel che riguarda quest’ultima valuta, la strada affinché possa salire sul podio mondiale è più lunga e complessa che per l’euro non essendo ancora liberamente convertibile. La parità è tutt’ora decisa dal governo anziché dal mercato e nelle transazioni internazionali lo yuan continua ad avere un ruolo marginale. Ma i segnali che quest’epoca sta finendo si moltiplicano. Da poche settimane è cominciato il trading sulla moneta cinese a Wall Street mentre un numero ormai elevato di imprese cinese esportatrici (70 mila) è stato autorizzato a farsi pagare in “redback” (soprannome dello yuan per assonanza con il “greenback”, cioè il dollaro). Inoltre cominciano a vedersi in occidente obbligazioni denominate in