Prestito forzoso per tagliare il debito pubblico in Italia. Buoni negoziabili

di Paolo Forcellini
Pubblicato il 8 Agosto 2014 - 08:00 OLTRE 6 MESI FA
Prestito forzoso per tagliare il debito pubblico in Italia. Buoni negoziabili

Paolo Forcellini propone: prestito forzoso per tagliare il debito pubblico in Italia. Buoni negoziabili dopo 3 – 5 anni

Scusate l’autocitazione: una ventina di giorni fa ho scritto per Blitzquotidiano un articolo sulla questione degli enormi interessi sul debito pubblico pagati dall’Italia rispetto ad altri paesi (Germania in primis) con un debito di ammontare analogo.

Nei giorni scorsi Fabio Tamburini, sul “Corriere della Sera”, riassumendo egregiamente un dotto studio, ha per così dire portato acqua al mio mulino. In meno di vent’anni il nostro paese ha pagato qualcosa come 1.650 miliardi di interessi, una cifra che tende ad avvicinarsi all’attuale ammontare complessivo del debito stesso.

Nello stesso periodo l’Italia ha ottenuto un saldo primario dei conti pubblici (cioè al netto degli interessi passivi) superiore al due per cento medio annuo, vale a dire una decina di volte superiore a quello della Germania e incomparabilmente maggiore a quello di paesi come la Francia che hanno avuto deficit primari di segno negativo.

È più che confermato, quindi, che le manovre lacrime e sangue cui siano costretti anno per anno ci hanno consentito solamente di pagare gli interessi, fermo restando un debito di proporzioni mostruose e crescente con la crisi. Di qui la mia proposta di un patto con gli altri Paesi dell’Eurozona per scambiare il raggiungimento di vincoli di finanza pubblica, corretti rispetto a Maastricht (cioè tre per cento di rapporto deficit/Pil e 80 per cento di debito/Pil, una percentuale, quest’ultima, oggi superata anche dai teutonici), in cambio dell’accesso alla possibilità di emettere eurobonds.

Un meccanismo che, una volta raggiunti gli obiettivi, consentirebbe un risparmio di alcune decine di miliardi di interessi ogni anno. Naturalmente nel caso italiano ciò richiederebbe di portare il rapporto debito/Pil dall’attuale 135 per cento all’80 per cento, impresa non da poco anche se sopraggiungesse l’agognata ripresa.

A tal fine avevo suggerito due strade. La prima, far confluire in un fondo gestito da imprese pubbliche e private (innanzitutto la Cassa depositi e prestiti) molti cespiti pubblici (immobiliari e azionari, penso a Eni, Enel, Ferrovie, Poste, ecc.) da immettere successivamente e gradualmente sul mercato ma con la possibilità di tagliare fin da subito il debito.

La seconda una qualche forma di patrimoniale. Confesso che quest’ultima ipotesi mi piace assai poco: di patrimoniali, in Italia, più o meno camuffate, ne esistono già molte, dalle varie tasse sugli immobili a quelle sui conti amministrati ad altre ancora, senza contare che la pressione fiscale è già molto elevata.

Solo una patrimoniale su chi sfugge alle patrimoniali, vale a dire i grandi capitali azionari “esterovestiti”, meriterebbe di venire presa in considerazione.

Ma il problema del taglio del debito, anche per rispetto nei confronti delle nuove generazioni a cui ci apprestiamo di lasciarlo in eredità, esige un po’ di fantasia finanziaria, da non confondere con la finanza “creativa” praticata per troppi anni.

Esiste una terza strada che a mio avviso dovrebbe essere percorsa, quella di un prestito forzoso. Si potrebbe stabilire, sulla falsariga di quanto si fece negli anni ’80 per i punti “congelati” della scala mobile, che oltre una certa soglia di reddito – supponiamo 20 o 30 mila euro – tutti gli italiani, e non solo i lavoratori dipendenti, siano chiamati a sottoscrivere buoni del Tesoro decennali pari al cinque per cento del reddito che supera quel livello minimo. Su questi buoni il Tesoro pagherebbe un interesse, supponiamo, del due per cento, pari grosso modo all’inflazione e non troppo lontano dai tassi pagati oggi dalla Germania per finanziare il proprio debito.

Questo comporterebbe un taglio di fatto dello spread almeno per una quota sostanziosa del debito italiano. Non solo, metterebbe il Paese al riparo dalle volubilità del mercato. Si potrebbe anche prevedere che questi buoni forzosi dopo un certo numero di anni, tre o cinque, possano essere negoziati sul mercato: chi avesse bisogno, per suoi, impellenti motivi, di rendere liquido questo risparmio forzato ne avrebbe così la disponibilità assai prima della scadenza, salvo qualche leggera penalizzazione.

Mi farebbe piacere che alcuni dei tanti illustri economisti di cui meniamo vanto si dedicassero a commentare, e certamente a migliorare, questa modesta proposta.