M5S-Gambaro: né Popolo, né Rete. Votano in 50mila e neanche tutti

di Riccardo Galli
Pubblicato il 19 Giugno 2013 - 16:06 OLTRE 6 MESI FA
L'espulsione di Adele Gambaro sul sito di Beppe Grillo

L’espulsione di Adele Gambaro sul sito di Beppe Grillo

ROMA – Deputati e Senatori 5 stelle hanno detto la loro: Adele Gambaro deve andarsene. Votazione a maggioranza dei “cittadini eletti” detti anche “portavoce”: una settantina per il fuori la Gambaro, 49 contrari, 9 astenuti, una trentina di assenti tra cui molti volontariamente astenuti dal voto interno.

La decisione suprema spetta però, in perfetto stile grillino, al popolo, popolo che nel lessico M5S si può scrivere anche con la minuscola. E la voce del popolo è la Rete. Rete che nel libro del MoVimento si scrive e si pronuncia con la maiuscola. Spetterà quindi all’agorà virtuale decidere il destino della cittadina dissidente, rea di aver criticato Beppe Grillo in persona. Ma se nell’agorà greca si riunivano tutti i cittadini, quanti attraverso il web esprimeranno la loro sull’espulsione? Bene che vada alcune decine di migliaia. Un po’ pochi per definirli e definirsi popolo, e un po’ poco anche per definirsi rete.

Sono cinquantamila gli aventi diritto al voto via web sui fatti interni di M5S. Cinquantamila e non voteranno tutti come è già accaduto in altre occasioni. Cinquantamila, non ci vuol molto per capire che non è un popolo, tutto insieme è neanche lo 0,1% dell’elettorato. Cinquantamila, non un popolo e neanche una Rete. Ogni giorno sono in rete circa 14 milioni di italiani, l’ottanta per cento sui social network. Il restante 20%, all’incirca due milioni e ottocentomila, dichiara di informarsi via web. Cinquantamila, a fronte di 14 milioni che in rete fanno tutto, anche “cazzeggiano” via internet e questo è il vero popolo del web. Cinquantamila, a fronte di circa tre milioni che via web si informano e fanno quindi rete di opinione. Cinquantamila, comunque una minima e risicata minoranza, un club ristretto.

In principio furono le parlamentarie, le votazioni on line per la composizione delle liste elettorali del MoVimento. Candidati poi divenuti parlamentari sulla base di poche centinaia se non poche decine di consensi. Poi venne la volta della scelta del candidato alla Presidenza della Repubblica, scelta ricaduta su Milena Gabanelli prima e Stefano Rodotà poi e infine, solo in ordine di tempo, fu la corsa alla poltrona di sindaco di Roma. Rodotà: 4.700 voti circa, lo 0,1 per mille e non per cento del corpo elettorale. Scelte cruciali che Grillo e i suoi, per necessità assoluta di distinguersi dai soliti politici, dai vecchi e dai morti abitatori delle stanze del potere dove il popolo non accede mai, decisero di delegare al popolo appunto.

Quel popolo che nel vocabolario 5 stelle è fatto dalla gente comune e quel popolo che attraverso internet, strumento supremo della libertà di espressione e allo stesso tempo veicolo diretto e senza filtri, può finalmente dire la sua e prendere parte alle decisioni. Smettendo così di vederle calate dall’alto.

Nella convinzione, storicamente alquanto dubbia, che la democrazia diretta, o liquida come dicono sovente i cittadini grillini, sia la migliore forma di democrazia possibile, oggi anche la scelta sull’espulsione o meno di una parlamentare dissidente, colpevole di aver detto niente poco di meno che anche Beppe Grillo sbaglia, è affidata alla rete.

Seguendo la logica del MoVimento, e ritenendo quindi che tutto debba essere votato da tutti, vale allora la pena fare due conti. Gli italiani sono all’incirca 60 milioni. Tolti i minorenni che non hanno diritto di voto ne restano, a grandissime linee, una quarantina di milioni abbondante. Scendendo ancora, quelli che hanno votato per Grillo & co. sono circa 8 milioni e, a logica, sono questi quelli che dovrebbero pronunciarsi sul destino della Gambaro. A votare alle parlamentarie non furono però milioni, e nemmeno centinaia di migliaia, ma appena 50 mila persone. Molte meno per il sindaco di Roma e per il Capo dello Stato. Quanti voteranno sulla questione Gambaro lo sapremo solo se e quando Grillo e Casaleggio ci comunicheranno i numeri, ma a spanne è facile immaginare che non saranno più di venti, trentamila.

E se è vero che chi non partecipa poi non si può lamentare, è però legittimo chiedersi se, con questi numeri, possano Grillo e i suoi parlare di popolo e a nome del popolo, fosse anche solo quello della Rete. Ci sono, ad esempio su Twitter, personaggi noti che nulla hanno a che fare con la politica, che hanno centinaia di migliaia di followers. Dovrebbero questi, per estensione della logica grillina, poter parlare a nome dell’Italia. Ma ovviamente così non è.

Senza entrare nel merito di una disquisizione sulle qualità della democrazia diretta,  i numeri, incontestabili, dicono che quella della retorica e del mito fondativo M5s democrazia diretta non è. E’ solo la legittima forma associativa di cinquantamila militanti intorno a un capo e a un ideologo. Due più cinquantamila così bravi da farsi votare da otto milioni di italiani. Due più cinquantamila che, come un partito, quando ci sono pacchi sporchi, li regolano in casa.