Lo Stato paga in ritardo: servono mappatura e tracciatura

di Marcello Degni
Pubblicato il 11 Marzo 2012 - 14:38| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Ma questo è solo un lato del problema. Esiste infatti un’altra ragione, in molti casi preponderante, alla base del ritardo di pagamento: la scarsa capacità di gestire il ciclo passivo da parte degli enti pubblici. Si tratta di una difficoltà strutturale, che presenta forti elementi di criticità. Senza recidere questo nodo non si risolve il problema e la smobilitazione totale o parziale dello stock, con strumenti finanziari, avrebbe solo un effetto temporaneo.

Lo stock pagamenti inevasi si riformerebbe rapidamente con effetti negativi permanenti sul debito pubblico, come è avvenuto nella sanità del Lazio tra il 2000 e il 2005, che rappresenta il case study negativo più rilevante in Italia: finché ha prevalso l’ingegneria finanziaria, o finanza creativa che dir si voglia, il problema è rimasto insoluto e i costi per i cittadini e la amministrazione pubblica sono stati elevatissimi.

La difficoltà di gestione del ciclo passivo da parte degli enti pubblici dipende da molti fattori: la difficoltà di affiancare sistemi di contabilità finanziaria a sistemi di contabilità economica, sia nello Stato sia negli enti territoriali (per colmare questo divario sono stati approvati recentemente il decreto legislativo 168/2011, in attuazione della legge 42 del 2009 per gli enti territoriali, ed il coevo schema di decreto per le amministrazioni centrali) ; il mancato utilizzo in forma diffusa di processi di dematerializzazione e tracciatura; la difficoltà di gestire in forma integrata e dinamica la programmazione dei fabbisogni, degli ordini, dei controlli delle forniture e della fatturazione. Se non si affronta questo ordine di problemi, che sono per grande parte di natura organizzativa, non si può dare al problema del ritardo dei pagamenti alcuna soluzione valida.

La risposta alla crisi di liquidità è stata caratterizzata dall’aumento dell’intermediazione, diffondendo fenomeni di cartolarizzazione del credito (fino alle restrizioni introdotte nel 2007). Tale prassi ha prodotto diversi effetti negativi: generalizzazione della cessione del credito (tipicamente attraverso l’acquisto pro-soluto), con modalità non continuative e finalità di mero recupero, anziché di gestione del processo, facendo venire meno il collegamento tra fornitore e pubblica amministrazione; produzione di rilevanti oneri per interessi a carico della pubblica amministrazione (inferiori rispetto a quelli previsti dalla normativa in vigore, ma comunque molto consistenti); induzione nelle amministrazioni di una prassi accomodante (si liquida solo in prossimità dell’operazione di smobilizzo dei crediti, anziché in funzione del processo produttivo); perfezionamento delle transazioni al di fuori del territorio nazionale (generalmente in Svizzera) per evitare il pagamento della tassa di registro.

La cattiva gestione del ciclo passivo favorisce l’instaurarsi di un rapporto diretto tra fornitori (o cessionari) e enti pubblici per determinare la liquidazione di un certo credito piuttosto che di un altro, con evidenti effetti distorsivi. Ciò espone l’ente ad una forte pressione da cui possono scaturire favoritismi e comportamenti non corretti.

Si producono inoltre errori e duplicazioni, non sempre individuabili: le pubbliche amministrazioni rischiano in tal modo di pagare doppio e male (in modo inappropriato ed a destinatari diversi dai titolari effettivi). Si presta il fianco a fenomeni corruttivi, per la difficoltà di controllare la liquidazione di partite debitorie accumulate per lungo tempo, di cui si perde ogni nesso con la prestazione fornita.