Putin ha scatenato non solo la guerra in Ucraina, ma una resa dei conti fra informazione libera e censura

Putin al centro della resa dei conti fra informzione e censura, nelle democrazie come nelle dittature. Vincenzo Vita analizza l'emergenza.

di Vincenzo Vita
Pubblicato il 20 Marzo 2022 - 13:21 OLTRE 6 MESI FA
Putin ha scatenato non solo la guerra in Ucraina, ma una resa dei conti fra informazione libera e censura

Putin ha scatenato non solo la guerra in Ucraina, ma una resa dei conti fra informazione libera e censura

Guai a difendere Putin, ovviamente. Tra l’altro, se c’è una voce insospettabile di strane simpatie è proprio il Manifesto, scrive Vincenzo Vita sul Manifesto.

Ben più lesto di tanti commentatori di oggi ad individuare la degenerazione profonda del modello sovietico e il baratro di quelli succeduti al cosiddetto socialismo di Stato.

Tuttavia, l’informazione non deve mai sedersi su qualche curva da stadio, avendo il compito deontologico di rendere consapevoli le persone che usufruiscono dei media. In verità, la realtà è quella della sottomissione verso le linee ufficiali. Che prendono (strumentalmente?) le difese del popolo ucraino (cosa sacrosanta) per rinvigorire nei fatti la religione atlantista: così scolorita nel tempo e ora ringalluzzita con l’aumento delle spese militari.

L’informazione è oggi una componente attiva della guerra.

Nella Russia di Putin si rischia la prigione se viene rotta l’omertà e il dissenso è proibito con logiche fasciste.

Nel democratico occidente censure e autocensure impazzano.

Il sindacato dei giornalisti della Rai ha chiesto all’azienda di chiarire come mai il servizio pubblico italiano non riprenda le corrispondenze da Mosca, a differenza di ciò che hanno deciso le testate internazionali e pure diverse italiane. I giornalisti hanno sottolineato che nessuno di loro aveva chiesto di rientrare.

Inoltre, aggiunge l’UsigRai, continua nei programmi di rete e nei telegiornali il ricorso ai freelance, senza neppure chiarire se ne siano garantiti la sicurezza e un equo compenso. Il precariato prevale a dispetto dei santi?

 Insomma, che ne è delle inviate e degli inviati? La Rai è embedded? Eppure, la percentuale delle notizie sulla guerra, in termini di titoli, è di circa il 75% del totale delle edizioni e gli ascolti aumentano moltiplicati dalla relazione non conflittuale ma sinergica con i social.

La tendenza è simile per le emittenti private e una parte dei talk (in particolare, Presa diretta e Piazza pulita). Non dimentichiamo, però, che l’apparato pubblico ha un surplus di obblighi, come recita il contratto di servizio che giustifica la concessione. Il sindacato chiede di sapere e pone così una questione strategica. L’informazione è la trama nervosa della società e l’utilizzo del segreto è un’arma impropria. Non bastano le non stop delle redazioni centrali con una nuova compagnia di giro di ospiti.

La riduzione a sloganistica manipolatrice è la negazione della ricerca della verità e del metodo dell’argomentazione. Ciò significa che la stessa presunta verità va proposta, discussa, analizzata. Se è imposta come naturale e lineare, perentoria e aprioristica, è la prima vittima del conflitto bellico. 

Se l’informazione prevalente assume le sembianze di un pensiero unico, la guerra ottiene un ulteriore effetto collaterale: il bavaglio di regime. Con tanti saluti all’articolo 21 della Costituzione.