Cina: a Dongguan la città del sesso più grande del mondo, 300 mila prostitute

Dipinto in un bordello di Dongguang

Nel 1949 Mao chiuse i bordelli e dichiarò reato la prostituzione. Risultato: sessant’anni dopo prospera in Cina la città del sesso più grande del mondo. Si chiama Dongguan e giace tra i canali, nel delta del fiume delle Perle, nella regione meridionale del Guangdong.

L’ultimo rifugio delle concubine è stato collocato sull’acqua dopo un’indagine di mercato, piuttosto che per una romantica nostalgia. Dongguan è a metà strada tra Shenzen e Guangzhou, megalopoli industriali del cuore produttivo del pianeta. Milioni di lavoratori migranti, centinaia di manager, migliaia di clienti in viaggio, tutti con il requisito-base: una vita lontano da casa e qualche soldo fuori controllo in tasca. In trent’anni, grazie all’esplosione globale dell’economia cinese, la città delle ultime concubine ha trasformato, a sua volta, un mestiere artigianale in un’industria. Sconvolgente metamorfosi cinese: le prostitute sono oltre 300 mila e il settore impiega stabilmente 800 mila addetti.

Dopo un’iniziale, timida, opposizione, la municipalità si è sviluppata su misura. Ogni giorno, perché l’attività inizia già al mattino, aprono 25 mila locali: saune, centri-massaggio, bar, karaoke, bagni e discoteche. Sono sorti anche 120 alberghi di lusso, per uomini particolarmente generosi che amano le ragazze d’alto bordo. Nessuno, ufficialmente, è un bordello.

Ogni locale offre una quarantina di ragazze, distinte per qualità. Ogni aspirante viene sottoposta ad un regolare corso settimanale di addestramento professionale. “Sufficiente – ha confessato una novizia – per farti spellare non solo le ginocchia”. I servizi offerti sono 30 e vanno concordati prima. Le concubine più raffinate seguono anche corsi di recitazione: devono sapere cantare e suonare, fare lo spogliarello, ballare, travestirsi, fingere su tutto. Due ore standard, con “doppio amplesso su letto ad acqua”, costano tra i 15 e gli 80 euro. Base di partenza.

La genialità cinese, innescata dalla proverbiale parsimonia popolare, è arrivata a certificare l’indice “Iso” anche per garantire la qualità del prodotto di Dongguan. Trecento ispettori esaminano ogni mese locali e concubine: valutano lusso, ampiezza, pulizia, salute, attrezzatura, età, caratteristiche, riservatezza e così via fino al titolo di studio delle signore, all’opportunità di girare video personali e alla probabilità dei clienti di restare vittime di una retata della polizia.

I centri più eleganti, tra i servizi, offrono anche la tecnologia. Concubine hi-tech aiutano i clienti, provenienti ormai da tutta l’Asia, a navigare in internet. Realizzano e stampano, su carta di riso rossa, ricerche da Google. Una società, per venti euro all’anno, invia agli abbonati sms quotidiani con le novità, le disponibilità di giornata, le offerte. A fornire i nominativi degli interessati potenziali, le concessionarie d’auto della regione. In due mesi hanno sottoscritto in 7 mila. L’organizzazione è all’altezza dei risultati. Si calcola che il 10% dei lavoratori di Dongguan frequentino ormai abitualmente le prostitute, per un giro d’affari di 70 milioni di euro a settimana. “Chiudere – ha osservato il segretario comunale del Partito comunista, Liu Zhigeng – significherebbe bruciare il 30% del Pil e produrre quasi un milione di disoccupati. Ma possiamo dire che sarebbe a rischio la nostra intera economia. E questo, si capisce, è il problema”.

Nonostante il successo, e il suo valore, l’ultimo mercato delle concubine cinesi è vissuto dal Paese come una vergogna nazionale. “Trecentomila prostitute in una città di prostitute – dice Pan Suiming, docente di sociologia all’Università del Popolo – certificano un fallimento politico. Le donne, nelle fabbriche del Guangdong, vengono sfruttate e molestate. Il 90% delle concubine, prima di diventarlo, hanno lavorato nelle catene di montaggio. Finiscono nei bordelli camuffati da sauna perché non hanno scelta. Se devi subire, meglio farlo guadagnando trenta volte di più e lavorando il 50% in meno”.

Da anni, il ministero della Pubblica sicurezza, pressato da masse di mogli inferocite, annuncia piazza pulita. Migliaia di poliziotti effettuano periodiche retate. Poi si scopre, regolarmente, che nei locali si rilassano funzionari di partito e vertici delle forze dell’ordine. Che saloni e night appartengono ai leader del potere e delle organizzazioni di categoria. O che le stesse autorità affittano interi piani di hotel e relative ragazze per tenere le riunioni politiche più delicate. “La pressione per chiudere un occhio – dice il capo della polizia, Cui Jian – è enorme”. Per questo l’ultimo eden delle concubine cinesi continua a crescere.

Gestione cookie