Le tre oppressioni di Berlusconi: gli aggettivi, le tasse e le leggi

Sono tre, numero perfetto, le “oppressioni” denunciate da Berlusconi e dalle quali il premier, una volta che avrà “poteri veri”, intende liberare il paese. Il presidente del Consiglio lo ha detto chiaro agli industriali riuniti a Parma e lo dice in ogni riunione di governo, oltre che negli incontri conviviali e politici con Bossi, Calderoli e Tremonti.

Prima “oppressione”, quella “burocratica”. Ciascun cittadino italiano, chiunque abiti questo paese sa quanto sia duro e snervante il contatto con la Pubblica Amministrazione e i pubblici uffici. Quindi chi ascolta Berlusconi d’istinto e di esperienza pensa a quanto e quando la burocrazia gli ha reso la vita complicata, se non proprio difficile. Ne nasce un moto di simpatia indiretta per quel Capo che denuncia i burocrati. Ma la “burocrazia” che Berlusconi ha in testa non è quella che non rilascia certificati e autorizzazioni, Berlusconi pensa ad altro. E a cosa pensa lo dice chiaro: “Agli uffici della presidenza della Repubblica che controllano anche gli aggettivi delle leggi varate dal governo”. Anche gli “aggettivi…”, perfino gli aggettivi! Detta così, ha il tono di una enormità pignola ed ostile. Ma di cosa dovrebbero occuparsi chi controlla la legittimità e la costituzionalità delle leggi se non appunto degli aggettivi, cioè delle parole di cui sono fatte le leggi? Forse delle virgole o dei verbi? L’oppressione di cui Berlusconi vuol sbarazzarsi è quella del controllo, l’idea stessa che esista un controllo su quello che fa il governo gli appare oppressione. Berlusconi non tollera una delle caratteristiche fondamentali e fondanti delle democrazie liberali ed occidentali. E abilmente vende al paese questa sua autoritaria insofferenza come fosse un salutare fastidio verso chi centellina inutili “bolli tondi”. La prima “oppressione” viaggia dunque su un equivoco, sia pure su un equivoco di successo.

La seconda oppressione denunciata da Berlusconi è quella “giudiziaria”. Qui è più difficile rintracciare i percorsi psicologici e sociali attraverso i quali l’opinione pubblica possa concordare e convergere con quella del premier. L’Italia è un paese dove il rimprovero di massa è ad una giustizia troppo “buonista” ed indulgente nel comminare pene e galera. Vero è che nella psicologia di massa la richiesta di massima e costante severità è sempre invocata per i comportamenti degli “altri”, però è difficile e intimamente contraddittorio “sentire” come oppressiva una giustizia vissuta come molle e imbelle. La seconda oppressione è quindi un omaggio, una concessione che l’opinione pubblica rende e concede al premier: è la “sua” oppressione, riguarda lui in persona. Chi lo vota non la vive questa oppressione, ma a Silvio “la consente”.

La terza oppressione è ovviamente quella fiscale. Non c’è italiano che non la denunci, ovviamente. Però ovviamente mica tanto: gli “oppressi” dal fisco, tutti si sentono e si dichiarano tali, dichiarano un reddito medio tassabile di 19mila euro annui. Tassabile e tassato quindi con aliquote sensibilmente inferiori al teorico 33 per cento fissato in astratto da Berlusconi come limite oltre il quale l’oppressione comincia. Conti alla mano, l’oppressione riguarda lo scarso un per cento dei contribuenti che dichiara più di centomila euro di reddito e che paga l’aliquota marginale del 43 per cento. Tutto il paese indignato per la triste sorte di uno su cento? Ovviamente no: l’oppressione fiscale che tutti in sincerissima buona fede credono di vivere è il nome che viene dato alla voglia di non pagarne di tasse. Paese che sul tema fisco è tutto d’istinto con Berlusconi. D’istinto e non di tasca perchè, a quanto lo stesso paese dichiara al fisco, il 99 per cento non è per nulla oppresso. La terza oppressione è dunque uno stato d’animo, popolare e di massa. Non dovrebbe perciò essere un sistema di governo. E infatti non lo è, i governi Berlusconi non hanno abbassato le tasse non per cattiveria ma perchè, come ogni altro governo, non lo potevano fare.

Un equivoco di successo, una dispensa al premier e uno stato d’animo: sono le tre “oppressioni”. Per smantellarle le quali Berlusconi chiama alla riscrittura niente meno che della Costituzione. Un “trittico” oppressivo che evaporerebbe se raffrontato davvero ad altre tre più concrete “oppressioni” scelte a caso nella vita reale: l’oppressione del lavoro strutturalmente precario che si sta mangiando una generazione, l’oppressione della “idiocrazia” che in ogni luogo, professione e mestiere regala soldi e successo a chi peggio fa e nulla sa fare, l’oppressione della ignoranza programmatica che parte dalla scuola elementare, passa per i licei, trionfa all’università e celebra se stessa in prima serata in tv.

Poi ce ne sono anche di minori, oppressioni minime ma non per questo meno moleste. Ad esempio quella della presunzione proterva e sciocca. Un esempio? Quel vignettista de L’Unità, Staino, che dopo aver disegnato il rammarico perché in Italia non cade un aereo con tutto il governo dentro, sostiene di aver esercitato satira e libertà. Sì, satira su se stesso e libertà di cattivo gusto e cultura, civili, politiche e anche umane.

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