Dieci euro al secondo. Viva Ferrara in tv ma non è Radio Londra. E viva Saviano ma non gli “elenchi”

ROMA-Chissà se quando hanno scritto e firmato il contratto il “conto pari” gli è venuto fuori per caso o per scelta: fanno dieci euro al secondo. Tremila a puntata, cinque minuti a puntata, seicento euro al minuto, appunto dieci euro al secondo e speriamo che non parli troppo lentamente e con troppe pause. Ma questo è un rischio che con Giuliano Ferrara non si corre, l’uomo è facondo e brillante: i suoi cinque minuti giornalieri dopo il Tg di Mimzolini, su Rai1 da lunedì 14 aprile saranno vivi e pulsanti, probabilmente varranno la spesa.

Va bene, benissimo che Giuliano Ferrara torni in tv e alla tv pubblica. Va bene, benissimo. Anche se non è obbligatorio l’ossequio: va bene, benissimo ma si è liberi anche di non consideralo un “bene assoluto” questo comizio-lezione che avanza. Va bene, benissimo. Però Giuliano Ferrara poteva risparmiarci e risparmiare al suo ego il titolo della rubrica, quell’allusivo “Radio Londra”. Radio Londra evoca un segnale che arriva da terre libere in zone occupate, un segnale clandestino e represso, un messaggio che chi lo invia e lo ascolta è poco meno che eroico col rischio di diventare vittima. Clandestino, represso ed eroico un messaggio cinque giorni su sette sulla rete Rai di maggior ascolto, all’ora di massimo ascolto, con il massimo di illuminazione mediatica, per programmaticamente difendere ragioni e valori del governo in carica e retribuito dieci euro al secondo, pause comprese, per due anni, rinnovabili a tre, totale tra un milione e duecentomila e un milione e ottocentomila euro? Va bene, benissimo. Ma Ferrara ci prende in giro quando si annuncia come un paracadutato in terra di infedeli: “Non sono Biagi, non accarezzo il pelo del gatto nel verso giusto”. Cosa facesse Enzo Biagi ognuno può ricordare, quanto al “gatto” Ferrara ci siede in grembo, da tempo, con soddisfazione reciproca, sua e del “gatto”. Bene, benissimo che Ferrara sia in tv, oggi e domani ma che si vesta da liberatore di “un’Italia occupata da una mentalità, da una cultura e da un modo di essere delle élites” è dichiarazione tronfia quanto bugiarda. Quella di Ferrara non è Radio Londra, l’uomo è abile e non farà Tele Arcore ma la sua è legittimamente tv di governo. Travestirla da altro è espediente e neanche dei migliori.

Va bene, benissimo Giuliano Ferrara dopo il Tg come bene e benissimo va Roberto Saviano nell’annunciato sequel di Vieni via con me. Bene, benissimo entrambi nella tv pubblica. Però c’è qualcosa di strano, di incongruo, qualcosa che suona falso. Non nella tv ma nel paese. Giuliano Ferrara passa come intellettuale raffinato. Non solo nel centro destra ma anche nel centro sinistra. Che sia bravo ci sono le prove. Prontezza e arguzia gli sono familiari, così come tempisno e senso dello spettacolo. E non gli manca l’intuizione, il passo della “politique politicienne”, insomma di quella che Berlusconi chiama “il teatrino”. Di questo teatrino è impresario a livelli che gli altri se lo sognano. E Ferrara è anche uomo di ingegno e passione. Ma raffinato? Raffinato uno che fa della mutanda la bandiera della liberazione dall’ipocrisia? L’ipocrisia di che, dello slip? Raffinato una che usa con perizia il linguaggio stancamente epigone del dannunzianesimo? Raffinato uno che conia da orafo provetto l’invettiva e la reiterazione dello slogan? E’ strano, incongruo e suona falso un paese che tutto ciò individua e chiama “raffinatezza”. Così come strano, incongruo e dal falso suono è la patente di filosofo civile riconosciuta a Roberto Saviano. Un grande testimone del tempo Saviano ma filosofo civile? Nell’ultima performance insieme lui e Fabio Fazio sono arrivati gaudenti e rapiti all’autismo degli elenchi, hanno cominciato a sciorinare niente meno che l’elenco degli elenchi. E che civile filosofia è quella che combina e ricombina “fango”, “macchina”, “forza”, “parole” e qui esaurisce la sua Ragion Pure e pure quella Pratica? Strano, incongruo e dal suono falso il paese dove Ferrara il governativo sanguigno vien presentato e narrato come araldo del pensiero clandestino e raffinato e dove Saviano viene narrato e goduto come un riuscito impasto tra Kant e Proust.

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