La sfida dei finiani: “Usciamo dal governo, dimissioni irrevocabili”. Apertura a Casini, Rutelli e Lombardo

Silvio Berlusconi

I finiani questa mattina, lunedì 15 novembre, escono dal governo. Sono partite dalle rispettive segreterie le lettere di dimissioni dall’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi:  via il ministro alla Politiche Europee Andrea Ronchi, il viceministro allo Sviluppo Economico Adolfo Urso, i sottosegretari Antonio Bonfiglio e Roberto Menia.

Un mezzogiorno di fuoco, ma con un’ora in più: «Entro le 13 di oggi consegneremo le nostre lettere di dimissioni irrevocabili dal governo», aveva annunciato il sottosegretario di Fli alle Politiche agricole Antonio Buonfiglio a inizio mattinata. Le lettere, ha spiegato Buonfiglio, sono composte da «tre righe asciutte, senza commenti». E se si andrà al voto i finiani sono aperti a una coalizione di centrodestra con Udc, Api e Mpa, pronta ad accogliere Casini, Rutelli e Lombardo. Intanto il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha convocato per martedì 16 novembre il presidente della Camera Gianfranco Fini e quello del Senato Renato Schifani, per tentare di saperne di più sul futuro della legislatura.

Dopo aver detto che con il suo governo affronterà il voto di fiducia, prima al Senato e poi alla Camera, Berlusconi si è detto convinto che riuscirà ad «ottenere la fiducia sia a Palazzo Madama che a Montecitorio». Il piano del Cavaliere sembra chiaro: elezioni sì, ma solo alla Camera.

Sul comportamento di Belusconi i finiani sono critici e chiedono le dimissioni del presidente del Consiglio: «Sciogliere solo la Camera nel caso in cui la sfiducia al governo arrivasse solo da Montecitorio? Assurdo», ha detto Adolfo Urso. Carmelo Briguglio ha commentato: «Qui non stiamo vendendo le pentole, se si scioglie, si scioglie».

Poi Urso ha spiegato ancora «se poi con il voto alla Camera si avessero ancora maggioranze diverse che faremmo, a quel punto scioglieremmo il Senato? Non scherziamo…». Italo Bocchino ha aggiunto: «La verità è che Berlusconi sta solo tentando di lanciare un amo ai senatori, ma la crisi non si risolve così».

Per gli uomini vicini a Gianfranco Fini, Berlusconi dovrebbe lasciare senza portare l’Italia a un voto del Parlamento che «conterà solo a crisi aperta, dopo che Berlusconi si sarà dimesso, o volontariamente o perché sfiduciato. E’ a quel punto che bisognerà chiedere ai senatori se ci stanno o no a fare un nuovo governo di alleanza costituzionale per affrontare l’emergenza economica e la legge elettorale», come ha spiegato Briguglio.

«Non c’è dubbio, anzi è inevitabile che si debba cominciare a votare dalla Camera, perché l’unica mozione di sfiducia è stata presentata lì. Al Senato c’è solo un atto politico che non ha effetti pratici. E’ dunque nella logica delle cose che si prosegua così», ha detto secco Urso.

Per loro insomma è meglio «un governo Fini», un governo di centrodestra «guidato da chiunque purché non sia Berlusconi».  Bocchino ha detto che pensa a «una nuova maggioranza. Penso non solo a Fini e all’Udc, che culturalmente e politicamente è una costola del centrodestra italiano. Ma dobbiamo guardare senza pregiudizi e con una mentalita’ aperta all’opposizione che va coinvolta si’ in un governo di responsabilità nazionale». In un’intervista a ‘La Stampa’ ha delineato i protagonisti di un governo che «dia vita a una nuova stagione di riforme condivise: Costituzione, fisco, legge elettorale. Berlusconi, per il bene del Paese, invece di una prova di forza muscolare favorisca una nuova stagione di responsabilità. Salga al Quirinale e si dimetta».

«Non escludo che si trovino i numeri per un governo di transizione con due-tre obiettivi fondamentali guidato da una personalità di garanzia»come «Beppe Pisanu, Mario Draghi o Mario Mont’, ma lo scenario in cui dovremmo impegnarci è un altro: un’alleanza costituzionale, un patto per l’Italia chiamato a fondare la Terza Repubblica», ha chiarito Carmelo Briguglio secondo cui «perché questo avvenga, serve la legittimazione popolare attraverso un ”voto” che superi i tabù dettati dai vecchi muri di confine. Dobbiamo rivolgerci a tutti quelli che non si riconoscono nel berlusconismo, con un patto tra chi aspira a rifondare il centrodestra come Fli, Udc, Mpa e Api, e il Pd».

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