L’Italia fra 5 anni potrebbe non esistere più: se lo dicono gli svedesi…

di Redazione Blitz
Pubblicato il 12 Aprile 2014 - 07:50 OLTRE 6 MESI FA
L’Italia fra 5 anni potrebbe non esistere più: se lo dicono gli svedesi…

L’Italia fra 5 anni potrebbe non esistere più: se lo dicono gli svedesi…

ROMA – L’Italia fra cinque anni potrebbe non esistere più: è l’ipotesi fatta in un reportage sul sito svedese “The Local”. Svedese, ma in lingua inglese e con una sezione italiana. Così come italiano è il nome dell’autrice dell’articolo, Angela Giuffrida. Che rivolgendosi a un pubblico di non italiani, spiega come l’Italia, che agli stranieri appare con una precisa anche se stereotipata identità, è in realtà una giovane (centocinquantatreenne) traballante federazione di popoli e tradizioni molto differenti fra loro. Lo suggeriva già l’inno nazionale scritto da Goffredo Mameli: “Noi fummo da secoli calpesti, derisi / perché non siam popolo / perché siam divisi“.

Si parte dal referendum per la secessione del Veneto, che, pur scontando dubbi sulla partecipazione effettiva al voto, viene letto come la spia di una tendenza centrifuga che interessa molte regioni italiane. Perché, al di là del raffazzonato referendum, ci sono sondaggi che danno i veneti pro-indipendenza sopra il 50%. Un dato che viene messo a confronto con la Scozia, che a settembre andrà a votare (davvero) per la propria indipendenza. Ma nei sondaggi i separatisti neanche si avvicinano al 50%.

Mentre l’Italia è piena di Scozie molto più convinte della stessa Scozia nello staccarsi dallo Stato centrale. Oltre al solito Sud Tirolo, c’è la Lombardia, che come il Veneto ha poca voglia di morire avvolta nella bandiera tricolore di uno dei debiti pubblici più alti al mondo. E poi c’è la Sardegna, dove l’alto tasso di disoccupazione non fa venire voglia di scherzare quando qualche autonomista sardo propone l’annessione alla Svizzera. Quanto al separatismo siciliano, è un fiume carsico che si alimenta con la crisi economica.

E, secondo il professor Paolo Luca Bernardini (Università dell’Insubria, fra i promotori del referendum veneto), saranno proprio ragioni economiche a ridividere l’Italia. “In Italia quasi metà della popolazione adulta è in pensione… Ed entro quattro-cinque anni, quando il sistema pensionistico non reggerà più e quattro milioni di dipendenti pubblici subiranno forti riduzioni del salario, sarà la fine“. In quel momento nessuno riuscirà più, secondo il professore, a contenere la voglia diffusa in tante parti d’Italia di “riportare le lancette della storia a prima del 1861”.

Ma è lo stesso reportage a segnalare le contraddizioni dei separatisti: quasi tutti vogliono andarsene dall’Italia ma restare in Europa. Aspettandosi magari di essere riconosciuti da Bruxelles: non appare un passaggio scontato.

The Local sente anche l’opinione di un “antiseparatista”. Pietro Piccinetti, promotore del comitato per il No al referendum secessionista veneto, è amministratore delegato di Pordenone Fiere. Il pragmatico Pietro: “Non possiamo tornare indietro di 200 anni. La strada giusta è avere uno stato federale, con le regioni che si aiutano fra loro… La solidarietà è parte della nostra cultura. Siamo in un mondo globale e siamo a livello internazionale siamo credibili solo se restiamo uniti. Gli stranieri amano lo stile italiano, i prodotti italiani… siamo «made in Italy» e non «made in Veneto». Ogni divisione sarebbe antistorica e antieconomica”.

Insomma, disfatta l’Italia, bisognerebbe disfare il “Made in Italy”: siamo sicuri che convenga?