L’Aquila dieci mesi dopo: un tetto quasi per tutti e ricostruzione per quasi nessuno

di Viola Contursi
Pubblicato il 22 Febbraio 2010 - 16:49 OLTRE 6 MESI FA

L’Aquila paradiso della ricostruzione pronta ed efficiente come giura e narra il governo, oppure l’Aquila inferno del centro abbandonato e delle macerie che nessuno rimuove come denuncia e racconta l’opposizione? Una città che torna a vivere, gli sfollati contenti di entrare in nuove case accessoriate con tutto il necessario? Oppure famiglie spezzate, case distrutte, oltre 17 mila sfollati costretti ancora a dormire negli alberghi e nelle caserme?

Vediamo come stanno le cose a dieci mesi da quel tragico 6 aprile del 2009.

I Comuni maggiormente colpiti sono stati 49: gli sfollati 65.704, 19.973 ricoverati nelle tendopoli e 28.845 negli alberghi. Ad oggi il numero degli sfollati è diminuito moltissimo: dal primo dicembre sono state definitivamente chiuse le tendopoli e gli ancora sfollati sono circa 17 mila. La maggior parte, circa 8000 persone, alloggiano negli alberghi della costa, mentre 2.830 negli hotel dell’Aquila e 1430 nelle due caserme.

Quello che resta sono in parte “emigrati” in altre regioni o province, da parenti e amici, altri sono i fortunati che sono potuti rientrare nelle proprie abitazioni o che hanno ricevuto una casa.

La ricostruzione delle zone colpite segue quattro distinti progetti: 1) La realizzazione di 19 Complessi Abitativi Sismicamente Ecocompatibili (C.A.S.E.), le cosiddette new town, formati da gruppi di palazzine di tre piani poggiate su piastre antisismiche, per alloggiare stabilmente circa 15mila sfollati. 2) Copertura dei costi di chi ha trovato casa in affitto e per gli alloggi in albergo 3) Attuazione della cosiddetta “ricostruzione leggera”, cioè la ricostruzione delle case danneggiate ma non completamente inagibili (categorie A,B,C), per lo più situate fuori dal centro storico dell’Aquila. 4) Realizzazione di 3200 casette prefabbricate (i cosiddetti Map) di cui 1200 solo all’Aquila.

Il governo aveva assicurato che entro febbraio tutti gli sfollati sarebbero entrati in una casa. Allo stato attuale , invece, e secondo dati forniti dalla Protezione civile, all’interno del progetto CASE sono state realizzate 169 palazzine delle 183 previste e i terremotati che sono entrati effettivamente sono 15 mila. Per quanto riguarda i Map (moduli abitativi provvisori) al primo febbraio ne sono stati consegnati alla popolazione 780, di cui 526 all’Aquila.

E il centro storico dell’Aquila? Chi ci entra anche in questi giorni racconta che si cammina in una città fantasma.  Le case sono distrutte, gli esercizi commerciali inesistenti. La mancanza di un’ordinanza per il centro storico impedisce che i lavori di ricostruzione possano anche solo iniziare.

Dentro le mura cittadine è stata imboccata l’unica strada possibile: puntellare e imbracare i palazzi per evitare che crollino, portare via le macerie, ed effettuare le perizie per capire come restaurare edifici che risalgono anche al ‘500 o al ‘300. Ma il “puntellamento” sta diventando un affare fine  se stesso, un modo per ricevere finanziamenti. E lo sgombero delle macerie è lentissimo, incontra ostacoli di legge e di organizzazione.

Niente da fare anche per la ricostruzione dei monumenti promessa dai grandi del mondo al momento del G8. Si è detto allora che la “dote” dei Paesi stranieri per L’Aquila sarebbe stata di 300 milioni di euro, tanto che il ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi, reclamizzò anche una dettagliata “lista di nozze” di 45 monumenti da far adottare agli Stati che partecipavano al G8. Una lista (datata 29 maggio 2009) ancora oggi pubblicata sul sito del dicastero, con schede sui danni e i costi per i restauri. E un totale preciso: 300 milioni, appunto. Ma al momento, dei soldi promessi non si vede nemmeno l’ombra.

E anche per quanto riguarda gli edifici con vistosi danni strutturali (classificati come E), i lavori solo in pochissimi casi sono iniziati. Secondo quanto racconta Enzo Cappucci, giornalista di Rainews24, autore del libro “A L’Aquila la maggioranza sta”, «le imprese sono ferme, non ci sono soldi, i rimborsi non arrivano e le ditte sono costrette a sospendere i lavori per mancanza di liquidità».

E’ chiaro, fin qui, che la politica seguita dal governo è stata una sola: rimandare la ricostruzione per realizzare nuove città, sparpagliate sul territorio e che possano alloggiare per alcuni anni gli sfollati. Come dire: alla ricostruzione ci penseremo. E non importa che vengano spezzate intere comunità, nè che le case siano state costruite su terreni agricoli e non edificabili.

Ma a quali costi è stata attuata questa politica? E quali le sue conseguenze? Tra i due modelli disponibili di costruzione delle new town, il governo ha preferito puntare la maggior parte delle risorse sulla realizzazione delle palazzine del programma CASE. Edifici per la cui realizzazione è necessario più tempo e un maggiore dispendio di soldi. Basti pensare che finora sono stati spesi 715 milioni di euro e che le case del piano costano 2.428 al metro quadro. E gli appalti concessi arrivano addirittura a 1.095.639.087,49 di euro.

Facendo il totale di spesa per garantire una sistemazione finale agli 11 mila abitanti del centro storico dell’Aquila, ad esempio, dà una cifra pari a 1 miliardo 576 milioni e 500 mila euro: 900 milioni per la ricostruzione + 544 milioni e 500 mila euro per le “new towns” + 135 milioni che è il costo del soggiorno sulla costa. Se invece delle “new towns” consideriamo i moduli provvisori, la spesa complessiva risulta di 1 miliardo e 167 milioni di euro, con un risparmio secco rispetto alla scelta delle “new towns” di 409 milioni e 500 mila euro.